Lupin III non sogna, analisi del fenomeno degli esordi


Prima che la sua giacca assumesse varie connotazioni di colore, Lupin III nasceva in bianco e nero sulle pagine di quella che diverrà una delle più famose riviste di manga giapponese. Era il 1967, 50(+3) anni fa, e all'appena 30enne Kazuhiko Katō, fattosi notare due anni prima grazie al successo del suo manga "Manuale per Playboy" ( プレーボーイ入門), viene scelto come artista di punta per il lancio di Weekly Manga Action, il nuovo magazine di manga per adulti edito da Futabasha. Nella frettolosa ricerca di un soggetto, a Katō torna alla mente la sua gioventù, quando amava leggere le avventure del ladro gentiluomo Arsène Lupin scritte da Maurice Leblanc. Decide quindi di realizzare un fumetto su Lupin, adattandolo però alla sua personale visione e rendendolo al passo con i tempi. La scelta di ispirarsi ad un personaggio francese e la particolarità del suo tratto, indistinguibile per il lettore giapponese dell'epoca da quello di un qualsiasi fumetto importato d'oltreoceano, donavano alla sua opera un'aura completamente unica per l'epoca. Il suo editor ebbe quindi l’intuizione di affibbiargli uno pseudonimo per nascondere, almeno apparentemente, le suoi origini orientali e sfruttare il più possibile il fascino occidentale che il fumetto avrebbe suscitato agli occhi dei lettori. Nasce così nell’Agosto del 1967 Lupin III (ルパン三世), scritto e disegnato da Monkey Punch. Katō non è un fan di quello pseudonimo, lo trova anzi un po’ ridicolo, ma è ancora agli inizi della sua carriera e decide di ingoiare il rospo. In fondo, doveva trattarsi semplicemente di un lavoro di passaggio, un riempitivo di pochi mesi prima di passare ad altro. Non sa cosa lo aspetta.


Lupin fu subito un successo, il pubblico era folgorato dal fascino del personaggio e dalle sue intriganti avventure. La fascia di lettori a cui si rivolgeva Punch era quella dei cosiddetti “Young Adult” ed era chiaro sin dalla prima storia, intitolata “L’elegante entrata in scena di Lupin III” e ambientata in uno sfrenato party universitario. Si trattava indubbiamente di un manga anomalo per l’epoca, a partire dallo stile grafico: i personaggi avevano corporature esili, volti caricaturali, vestiti all’ultima moda, gli uomini avevano barba e basette e le donne forme generose e pose erotiche. Ai ventenni di allora dev’essere sembrato che quel manga parlasse direttamente a loro. Le influenze dalla Disney americana che Tezuka aveva reso standard negli anni ‘40 erano completamente assenti, sostituite dall’amore di Punch per la rivista satirica MAD Magazine da cui era solito ricopiare soprattutto le illustrazioni di Mort Drucker. La sua tavola invece parlava ed espandeva il linguaggio dei film, seguendo così il solco tracciato dalla corrente Gekiga e guardando soprattutto al cinema americano per l'azione delle sue storie e a quello europeo per lo stile dei suoi personaggi e la messa in scena delle loro relazioni. I protagonisti stessi erano i primi ad essere “vittime” della fascinazione per l’Occidente: Lupin, con le sue abilità e i gadget all’avanguardia, era un novello James Bond, mentre Fujiko Mine, a volte alleata e a volte nemica, era la Bond Girl; Jigen Daisuke un cowboy rubato direttamente dal western “I Magnifici 7”; Zenigata invece, nonostante l’ovvia ispirazione al personaggio letterario giapponese Heiji Zenigata, portava l’iconico abbigliamento di Jacques Clouseau, protagonista della saga “La Pantera Rosa”. A pensare a un certo punto che l'opera tenda forse troppo verso l’esterofilia è Monkey Punch stesso che, per equilibrarne il cast, crea un personaggio dall’essenza puramente giapponese: il samurai Goemon Ishikawa XIII, ispirato a un vero ladro del 16° secolo.


Siamo molto lontani dalle atmosfere rassicuranti e divertite create da Miyazaki nei suoi episodi della serie animata o da quelle fiabesche del suo film “Il Castello di Cagliostro”, opera con cui lo trasformò nel “Ladro Gentiluomo” conosciuto da grandi e piccini. Il manga di Monkey Punch era sexy, era violento, era trasgressivo, era rock’n’roll. Il protagonista era un fuorilegge vero, amante dei piaceri della vita, senza nazionalità perché uomo di mondo, ma soprattutto libero, libero da ogni oppressione esercitata dalla società. Un dandy in un mondo dove l'estetica era tutto, un James Bond che non rispondeva a nessuno, un uomo che con le sue sole forze poteva ottenere tutto e non si faceva scrupoli a farlo. Anche a livello sessuale, mentre il Lupin dell’anime finisce puntualmente in bianco, quello del manga riusciva (quasi) sempre a intrufolarsi nel letto della prosperosa donna di turno, quest’ultima spesso inizialmente contraria prima di perdere ogni inibizione una volta posta dinanzi le abilità del ladro a letto . Più una fantasia sessuale che un atto verosimile, Punch si divertiva a disegnare le scene tagliando l’uomo e lasciando la sola donna a contorcersi nel piacere sottolineando la carica erotica di una gamba nuda o di un volto in estasi. Lupin III metteva in scena la rivoluzione culturale e sociale che gli anni '60 avevano portato in occidente e per degli studenti universitari incastrati nella rigida e arretrate struttura sociale giapponese il suo fascino doveva essere irresistibile: leggere le avventure di Lupin III era più di un atto di evasione, era un atto di ribellione sociale.


A dargli ancora più risalto c’era poi la sua nemesi, l’Ispettore Koichi Zenigata. Rappresentante delle istituzioni, della società e delle sue convenzioni, Zenigata è un impiegato salariato dallo stato ed è per questo il perfetto contraltare allo spirito libero del protagonista. La sua grande ambizione è catturare Lupin III, ovvero di eccellere nel proprio lavoro. Lupin invece non ha lavoro, quella del ladro è una natura innata ed espressione di libertà. Nel primo film dedicato al personaggio, “La Pietra della Saggezza” (1978), l’elemento della libertà viene raccontato attraverso una interessante intuizione. Mamoo, villain del film, incatena Lupin a un macchinario che ne sonda il subconscio e lo scopre completamente vuoto. Lupin non sogna, non ha ambizioni. Non c’è nulla a cui aspira, perché può ottenere tutto. Non avendo catene che lo guidano verso uno “scopo”, agisce solo per il suo intrattenimento. In sintesi? Lupin è libero, completamente libero.


Andando avanti con gli anni, questa versione del personaggio si è sempre più persa a favore di quella “per tutti” imposta dal lavoro di Miyazaki (e non solo), ma nel momento in cui vi scrivo è tornata in vita più forte che mai. Nel 2012 nel palinsesto televisivo giapponese spunta una nuova serie televisiva sull’universo di Lupin III, primo di una serie di progetti che avrebbe rilanciato il personaggio. La serie, intitolata “La donna chiamata Fujiko Mine” e diretta da Sayo Yamamoto, ha come protagonista Fujiko e si pone come prequel di Lupin III Part I, raccontando il primo incontro della banda con la donna. Il character design di Takeshi Koike riporta i personaggi alle linee graffianti di Monkey Punch, mentre lo stile grafico della serie li cala in atmosfere noir ed erotiche da cinema europeo anni ‘70 e simili alle origini del manga. In 13 episodi il personaggio di Fujiko veniva ridefinito, elogiandone l’essenza più pura, mentre la trama porta avanti un interessante gioco metanarrativo che rifletteva sul ruolo imposto alle donne nella narrativa. A seguire è iniziata la produzione di una serie di mediometraggi diretta da Koike, i primi usciti intitolati La Tomba di Daisuke Jigen, Lo Schizzo di Sangue di Goemon Ishikawa, La Bugia di Fujiko Mine, che in 50 minuti l’uno mettono in scena azione al cardiopalma, atmosfere adulte e una regia spettacolare. Al centro dei due film abbiamo i compagni di Lupin, messi alle strette da villain formidabili creati su misura per loro. Il manga è anche tornato a contaminare pesantemente persino il Lupin animato più "canonico", come abbiamo potuto constatare con la recente Lupin III Part 5, che ha più di un debito con la controparte cartacea. Opere che costituiscono un rilancio del Lupin delle origini con i fiocchi, dimostrando come il personaggio di Monkey Punch non abbia ancora esaurito quel fascino che 50 anni fa fece impazzire i lettori di Weekly Manga Action.
 


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