Ankoku Shinwa, la mitologia oscura di Daijiro Morohoshi

Ankoku Shinwa Recensione Daijiro Morohoshi Dark Myth Dynit

Daijiro Morohoshi è uno dei grandi nomi invisibili del fumetto giapponese. Ha esordito sulla rivista avant-garde COM di Osamu Tezuka nel 1970 con il suo one-shot Junko Blackmail (ジュン子・恐喝) per poi passare alla ben più mainstream Weekly Shonen Jump dove nel 1974 vince il Tezuka Award con un altro one-shot, Biological City (生物都市), scelto quasi all'unanimità da una giuria notevolmente impressionata per l'originalità del suo stile di cui non si riesce a individuare chiaramente le influenze narrative e grafiche che lo hanno formato. Quello stesso anno Yasutaka Tsutsui (l'autore del romanzo Paprika da cui Satoshi Kon trarrà l'omonimo film) inserirà lo one-shot nella sua personale selezione delle migliori storie di fantascienza del 1974. A questo esordio degno di attenzione Morohoshi farà seguire una carriera prolifica i cui elementi ricorrenti sono l'interesse per l'orrore, il soprannaturale, l'antropologia, la mitologia e la storia antica, e influenzerà grandi artisti come Hideaki Anno, Hayao Miyazaki, Nekojiru, Rumiko Takahashi, Yukinobu Hoshino e Shin'ya Tsukamoto (che nel 1991 ha anche tratto dal suo manga preferito di Morohoshi un film intitolato Hiruko the Goblin). Nonostante ciò, in Occidente Morohoshi è pressoché sconosciuto e, forse per la difficoltà dei suoi temi e del suo stile, non aveva mai ricevuto una pubblicazione estera; fino all'anno scorso quando la sempre sorprendente collana Showcase di Dynit ha portato in Italia Ankoku Shinwa - Il Mito Oscuro, manga del 1976 originariamente apparso su Weekly Shonen Jump. L'edizione proposta in Italia da Dynit si basa però sulla versione ampliata dell'opera, con oltre 100 tavole nuove realizzate da Morohoshi, nata in occasione della Perfect Edition giapponese del 2017.

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L'edizione Dynit Showcase uscita in Italia

La storia di Ankoku Shinwa ruota attorno a Takeshi, un ragazzino con una strana cicatrice a forma di serpente sulla spalla e un particolare interesse per il Periodo Jōmon (10000 a.C. - 300 a.C.). Tredici anni prima Takeshi ha assistito all'omicidio di suo padre sul monte Tateshina, ma era così piccolo da aver quasi del tutto rimosso l'accaduto; finché l'incontro con un vecchio amico di suo padre non riporta tutto a galla e non mette involontariamente in moto il compiersi di un destino oscuro di cui Takeshi è l'assoluto protagonista suo malgrado. Questo destino lo porterà nei pressi dei siti archeologici più misteriosi del Giappone, sotto la guida di uno strano anziano di nome Takeuchi, mentre un uomo misterioso, Kikuchihiko, a capo di un'antica famiglia giapponese, cercherà in tutti i modo di impedire a quel destino di compiersi.

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Con una premessa del genere, un normale fumetto per ragazzi avrebbe probabilmente posto l'accento sul percorso di Takeshi, sulla difficoltà ad accettare il suo destino (o a liberarsene) e sulla spettacolarità del suo compiersi (o meno); ma sin dalla lettura del primo capitolo è invece chiaro che Ankoku Shinwa sia un'opera piuttosto atipica. Il percorso di Takeshi è narrato con un certo distacco, lasciando il ragazzo in balia del suo destino, sempre più rassegnato e confuso, e ci si concentra invece sulle cause ancestrali di questi avvenimenti, puntando i riflettori sui luoghi visitati e sulla loro storia, che Morohoshi ricostruisce con un'accuratezza più da studioso vero e proprio che da autore di manga per ragazzi. Il Giappone ritratto da Morohoshi è vasto e bellissimo, scolpito senza l'ausilio di retini con una pioggia di segni veloci e allo stesso tempo pieno di dettagli, ma è anche colmo di segreti e luoghi misteriosi, come la caverna sul monte Tateshina celata dietro un Buddha di pietra che nasconde la verità su Takeminakata, il Kunitsukami ("Divinità della Terra") che a Izumo fu sconfitto dall'Amatsukami ("Divinità del Cielo) Takemikazuchi, alleato del primo leggendario imperatore Jinmu nella conquista del Giappone.

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I riferimenti storici e leggendari su cui si basa l'opera partono dal sopraccitato Periodo Jōmon, periodo in cui inizia a diffondersi in Giappone lo stile di vita sedentario e che vede il germogliare di culture più complesse rispetto a quelle del paleolitico, e arrivano fino al Periodo Asuka (538 d.C. - 710 d.C.), innestandosi quindi in quello che è un po' il periodo mitico del Giappone, in cui le cronache, come il Kojiki o il Nihongi, mescolano Storia e Mitologia come fossero un tutt'uno. Morohoshi ci restituisce un Giappone antropologicamente magmatico, con un retroterra culturale che si compone di popolazioni e mitologie diverse in scontro tra loro, di cui la stirpe degli Yamato (il gruppo etnico attualmente dominante in Giappone) è solo l'ultima arrivata. L'operazione di fanta-archeologia di Morohoshi tocca infatti anche altri popoli, come i Kumaso del Kyūshū e il leggendario regno di Yamatai (di cui non si hanno certezze né della sua collocazione che della sua reale esistenza), e unisce i puntini di una storia segreta del Giappone che si è conclusa con il dominio degli Yamato e, soprattutto, con le gesta del principe Yamato Takeru, l'eroe che imbracciò la spada Kusanagi-no-tsurugi appartenuta al Dio Susanoo; ma si espande anche al di là della semplice mitologia, toccando le religioni (shintoismo e buddhismo in primis), la scienza e l'antropologia, per dar vita a un mito unificatore, un orrore dalla portata cosmica e metafisica che travolge Takeshi con un impeto a cui è impossibile ribellarsi.

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Persino in questa versione ampliata Ankoku Shinwa rimane un manga ostico da seguire, che non si fa problemi a infarcire di decine di spiegazioni ogni capitolo, e che probabilmente risultava una lettura complessa già al suo pubblico di riferimento, sicuramente più a suo agio con tutti i nomi di luoghi e divinità citati di un occidentale. Le note ai margini delle tavole e il glossario a fine volume compilato da Dynit offrono un buon appiglio per non perdersi, e Morohoshi stesso durante la storia cerca di illustrare nel dettaglio la maggior parte dei riferimenti su cui si basa il manga; nonostante ciò, Ankoku Shinwa rimane una lettura che non si può fare in tutta leggerezza: il lettore che dovesse prendere sottogamba tutta la mitologia presentata dal manga, nella speranza di riuscire a godere almeno dello scheletro della storia, finirà per rimanere con poco in mano, con un thriller un po' goffo e decisamente lineare, seppur ritratto con uno degli stili più interessanti e atipici mai visti in un manga (spiccano soprattutto le scene in cui Morohoshi ritrae con il suo stile urgente e frenetico non solo le ambientazioni, ma anche le statue, i reperti mitologici e le mostruosità che nascondono, senza dimenticare la Kyoto notturna del capitolo 5 illuminata dal bianchetto e dai chiaroscuri che finiscono per deformarsi in un quadro futurista nella frenesia di un inseguimento). Questo perché, a differenza di molti anime e manga, tutti i riferimenti presenti in Ankoku Shinwa non servono a dare colore alle vicende trattate, ma sono il fulcro ultimo dell'opera stessa: un puzzle complicato che se si avrà la pazienza di comporre assieme al fumetto saprà ripagare con la visione di un insieme appagante e galvanizzante.

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È proprio quel puzzle a donare al thriller che costituisce lo scheletro di Ankoku Shinwa una nuova dimensione tragica e cosmica, i cui personaggi scarsamente approfonditi acquisiscono nuovo spessore quando assimilati all'idea di umanità che rappresentano: un'umanità che non è padrona del suo destino e non può nulla dinanzi al volere del cielo. Mentre i tentativi di Kikuchihiko e i suoi di impedire il cammino di Takeshi finiscono costantemente per essere un nulla di fatto, il lettore apprende assieme a loro che i miti e le leggende non sono, come molti credono, spiegazioni fantasiose dei fenomeni scientifici, ma non sono neanche un racconto accurato di fatti realmente accaduti che ci appaiono inconcepibili con la presente mentalità scientifica; si tratta invece del modo con cui gli uomini hanno riempito gli spazi lasciati dai traumi rimossi delle catastrofi avvenute al manifestarsi del volere degli dei, calamità soprannaturali e mostruosità terribili che hanno avuto un impatto devastante sugli uomini che abitavano queste terre. Senza il sapere celato dietro il tramandarsi di quei miti, gli uomini sono destinati a scontrarsi frontalmente con la loro impotenza dinanzi alle leggi della natura e del cielo, come successo alla Principessa Himiko nel passato e a Kikuchihiko stesso nel presente.

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"Era deciso ormai da tempo. L'unica cosa che puoi fare è andare avanti, non c'è via di scampo" sono le parole con cui Takeuchi convince il restio Takeshi a proseguire la ricerca degli otto marchi che lo trasformeranno nell'Atman, nel principio del sé che domina l'universo. Il paradosso lascia spiazzati quanto le immagini apocalittiche che chiudono l'opera: è rinunciando ad avere controllo sul proprio destino che Takeshi acquisisce una libertà che è assoluta.

Che cosa se ne farà non ci è dato saperlo.

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