Ping Pong di Matsumoto Taiyō: arte, estetica, espressione - Parte 2 di 2

Ping Pong Taiyo Matsumoto Analisi Esperienza Estetica Masaaki Yuasa Manga

Premessa: questa è la seconda parte del primo articolo ospite del blog. Per saperne di più, vi rimango all'introduzione della prima parte qui.
Autore ospite dell'articolo: 
Curly

Una seconda introduzione

Nel precedente articolo ho fatto riferimento a una citazione di Wenge, durante la partita tra Peko e Drago. Nello specifico, China dice che lo stile di gioco di Hoshino gli permette di cogliere, in qualche modo, il suo entusiasmo poiché è come se amasse tanto questo sport da non riuscire a trattenersi. In altri termini, Peko riesce a tirare fuori uno stato d'animo che è prettamente privato come può essere un sentimento, e non solo: Wenge riesce persino a percepirlo.
Quando si parla di ambiti artistici ci riferiamo spesso al fatto che certe azioni o certi oggetti abbiano un “valore comunicativo”, che in qualche modo “trasmettano qualcosa”. Questa intuizione si ritrova anche in espressioni e categorie concettuali come quelle di linguaggio dell'arte o empatia.
«Io provo la stessa cosa di un personaggio.», «Capisco quello che l'autore voleva trasmettere.», «Animazione e fumetto sono due linguaggi differenti.» … tutte frasi che possiamo trovare frequentemente in discussioni sull'arte e che, in qualche modo, rispecchiano un'idea comunicativa dell'arte. Ma cosa vuol dire che l'arte ha una funzione comunicativa?
In che senso Wenge riesce a cogliere quello che Peko stava provando?
«Beh chiaramente sta empatizzando con lui.» potrebbe dire qualcuno. Lecito, ma quale sono le ragioni che provocano questa condivisione emotiva? Spesso in ambito artistico si tende a usare termini come empatia come soluzioni semplici (e a volte un po' stucchevoli) per problemi ben più complessi¹. Possiamo provare a capire come avvenga un fenomeno così bizzarro. Come è possibile che riusciamo a comprendere certi stati d'animo tramite gli oggetti o le performances artistiche?
Capiamo bene che chiunque voglia ragionare in modo profondo sui fenomeni artistici, debba avere anche una teoria che spieghi in modo efficace questi fenomeni.
Dewey prova a risolvere questo problema fornendo una teoria dell'espressione artistica.
Ma perché tirare fuori proprio ora un altro tema, cioè quello dell'espressione?
Nella prima parte dell'articolo parlavamo di esperienze estetiche, mentre ora stiamo cambiando totalmente argomento! La ragione è che il tema dell'espressione permette di legare in modo estremamente solido tutto quello di cui abbiamo parlato finora: capire la teoria di Dewey ci permetterà di chiarire meglio come possa verificarsi un'esperienza estetica e come l'arte abbia la funzione di “migliorare” la qualità della nostra vita. La cosa che io ritengo più interessante, inoltre, è proprio che Ping Pong sembra seguire Dewey persino su questa strada. Anche qui ci tengo a precisare che non credo minimamente Matsumoto abbia formulato una teoria dell'espressione (tantomento che abbia preso volontariamente quella di Dewey), ma solo che vi siano delle fortissime affinità “teoriche” tra i due. Un artista non ha bisogno di “mettere volutamente” certe idee all'interno di una sua opera perché questa abbia un contenuto teorico: spesso certe idee e certe intuizioni dell'artista si incarnano nel modo che ha di comporre la sua arte, nel suo stile, nelle sue abitudini e in ciò che (spesso anche inconsciamente) sceglie di rappresentare. Da questo punto di vista, non sembra così implausibile che un autore che si ritrova ad affrontare un tema per anni con la sua arte, poi arrivi a conclusioni affini a quelle di un teorico che però riesce a dare solo forma astratta a quei pensieri. Un teorico o uno scienziato saranno capaci di presentare in modo più ordinato e chiaro certi concetti, ma un artista potrà usare quelle stesse idee (seppur più vaghe o addirittura inconsce) per costruire un'esperienza che rispecchi quei concetti.

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3) Sfogare e strizzare

Ricapitolando, ci sono almeno due problemi da risolvere: come è possibile che un oggetto esprima uno stato d'animo e come è possibile che provochi esperienze estetiche.
Iniziamo dal primo.
Per comprendere il concetto di espressione dobbiamo, prima di tutto, differenziarlo dal concetto di sfogo; quando io urlo per il dolore, lancio una racchetta per terra dopo aver perso un set, piango a un funerale di un parente, tutti questi sono casi di sfogo.
L'idea di molte persone appassionate di arte e di alcuni studiosi è proprio che espressione e sfogo siano due concetti coincidenti, quindi, in un certo senso, realizzare un dipinto pieno di dolore e urlare per una carie non sono fenomeni così distanti.
In entrambi i casi abbiamo una spinta emotiva che ci fa compiere delle azioni particolari che, in qualche modo, permettono di “far vedere pubblicamente” qualcosa che proviamo nel privato.
Così, quando qualcuno urla, noi da fuori possiamo dire «Ah sì sta provando dolore!», come possiamo dirlo per un pittore che rappresenta una scena particolarmente cruenta.
La teoria ha il pregio di essere chiara e molto intuitiva: un artista non fa altro che “sfogare” il suo dolore fuori di sé in modo liberatorio, proprio come per noi è catartico piangere a un funerale.
Il problema di questa teoria dell'espressione è che, quasi certamente, è falsa.
Di fatto, una teoria così rudimentale non riesce a spiegare fenomeni particolarmente semplici che avvengono nella mente di certi artisti. Proviamo a portare la teoria fino in fondo.
Se “esprimersi” non è altro se non “sfogare” un impulso emotivo, allora maggiore sarà il carico emotivo dell'artista, maggiore sarà il livello dell'espressione. Un grande dolore verrà espresso in modo molto più potente rispetto a un dolore più lieve.
Però, di fatto, esistono una marea di casi in cui questa cosa non è vera: spesso una critica che viene fatta ai giovani autori è proprio quella di essere “troppo emotivi” oppure di non sapere esprimere in modo adeguato certe emozioni, proprio perché sopraffatti da queste. Questo succede quando un'opera ci sembra eccessivamente “carica” oppure “per niente equilibrata” o “retorica”. In tutti questi casi sicuramente gli artisti hanno delle spinte emotive particolarmente intense che sfogano con l'atto artistico, ma non si dà alcun tipo di espressione. Il risultato è solo pesante ed eccessivo.
Anche per Dewey l'idea che sfogo ed espressione siano sinonimi è sbagliata.
Sicuramente per effettuare un atto espressivo abbiamo bisogno di una spinta emotiva, ma questa non è sufficiente perché sia espressione, mancano cioè alcuni ingredienti:

Mentre non vi è espressione se non vi è spinta dall’interno verso l’esterno, ciò che scaturisce fuori, prima di essere un atto di espressione, dev’essere chiarificato e ordinato e assumere in sé stesso i valori di esperienze precedenti.²

Qui si fa riferimento a due fattori aggiuntivi che sembrano essere fondamentali per l'espressione: ci deve essere una forma di ordinamento della spinta emotiva e dell'azione e deve avere il valore delle esperienze differenti. Entrambe queste condizioni sono abbastanza vaghe per ora: vediamo se riusciamo a precisarle.
Con ordinamento sembra che ci stiamo riferendo a una sorta di addestramento nel fare qualcosa. Quando ci alleniamo in uno sport, per esempio, non impariamo solo le regole del gioco, ma impariamo anche a tenere una postura corretta, le azioni ci sembrano più semplici a forza di farle, diventiamo più fluidi nel giocare. Per Dewey una cosa simile succede anche quando facciamo più volte l'azione di coordinare i nostri movimenti con certi stati d'animo che proviamo.
L'idea sembra essere che, come raggiungiamo un certo tipo di spontaneità nell'imparare a fare azioni dopo un allenamento costante, così deve succedere anche con il modo in cui “portiamo fuori un'emozione”. Si capisce che, in questo contesto, un fattore fondamentale diventa quello dell'expertise: in qualche modo diventa necessario diventare bravi a studiare un'emozione e a coordinarla con certe azioni “esterne”. In questo senso l'atto espressivo deve assumere i valori delle esperienze precedenti: un atto espressivo deve avere una pratica, delle abitudini, un'educazione³  alle spalle che portano a compiere certe azioni in modo più spontaneo e naturale.
Questa intuizione che la spontaneità venga dall'addestramento è centrale e viene illustrata brillantemente da Dewey in vari passi:

Tale pienezza di emozione e spontaneità di linguaggio vengono, tuttavia, soltanto a coloro che si sono immersi in esperienze di situazioni oggettive; a coloro che sono stati per lungo tempo assorbiti dalla contemplazione del materiale relativo, e le cui fantasie sono state a lungo occupate nel ricostruire ciò che essi vedono e sentono. […] La spontaneità è il risultato di un lungo periodo di attività o altrimenti è così vuota da non essere un atto di espressione.⁴
Dewey non fornisce una teoria generale di come funzioni questa spontaneità espressiva tra emozione e azioni (cioè cosa si deve fare per coordinare certi tipi di emozioni e certi tipi di comportamenti) e credo la ragione sia abbastanza semplice: perché è un lavoro concretamente impossibile da portare a termine. Per Dewey non solo ogni singola arte (nel senso ampio che abbiamo definito nella prima parte dell'articolo) ha un proprio materiale e delle potenzialità espressive sue proprie, ma ogni stato d'animo da rappresentare è qualcosa di diverso dagli altri.
Su questo Dewey è abbastanza chiaro: non esiste un'emozione generale tipo la paura, ma tante sensazioni molto simili a cui noi attribuiamo il nome di “paura”.
Questo potrebbe essere un passo sottile, quindi cercherò di essere più chiaro che posso.
Solitamente noi crediamo che quando proviamo rabbia, paura, amore etc. noi proviamo sempre la stessa esperienza, ma in contesti differenti. Quindi se io mi trovo di fronte a un leone oppure a un rapinatore io provo la stessa paura ma in contesti differenti.
Per Dewey anche questa concezione essenziale delle esperienze è sbagliata.
La paura che proviamo davanti al leone e quella che abbiamo di fronte all'assassino è qualitativamente differente: sono due tipi di oggetti differenti. Immaginateli come due colori che sono molto simili, come il rosso scarlatto e il rosso cremisi; di fatto sono due qualità molto simili, ma non sono la stessa.
Quindi poniamo che un pittore voglia rappresentare astrattamente la paura che ha provato di fronte a un leone e quella che ha provato con il rapinatore; per farlo efficacemente dovrà usare dei modi diversi per rappresentare le due esperienze.
In questo senso possiamo vedere che non ha troppo senso cercare di fornire una teoria generale del funzionamento dell'espressione; in arte, per valutare se stiamo esprimendo bene una particolare esperienza non esistono prescrizioni precisissime, ma bisogna solo realizzare l'opera e vedere dopo se il risultato è soddisfacente.
Provo a fare un esempio per fissare ancora meglio ciò che succede durante un atto espressivo, per poi collegarlo al secondo punto (cioè quello dell'espressione estetica).
Immaginiamo un pittore en plein air che si trova di fronte a un certo paesaggio e vuole rappresentarlo direttamente⁵, a un certo punto ha un'intuizione fortissima e prova un forte senso di desolazione nel vedere certe caratteristiche di quel paesaggio. Se il pittore si è già ritrovato a rappresentare qualcosa sotto un influsso emotivo simile e ha una sufficiente capacità tecnica, allora inizierà a dipingere guidato da quella spinta emotiva. Di conseguenza farà una scelta relativa ai colori da adoperare, userà certe tecniche particolari, eliminerà e aggiungerà elementi alla scena, cambierà alcune linee e deformerà certi spazi⁶… tutto questo finché non troverà una combinazione che lo soddisfi.
In questo caso, quello che il pittore avrà realizzato non è solo una copia del paesaggio, ma un oggetto totalmente differente che riesce a esprimere la sensazione di quella singola persona di fronte a quel particolare paesaggio. In qualche modo la sensibilità dell'artista ha filtrato quel paesaggio e l'ha portato a costruire qualcosa di nuovo.
Il punto veramente importante è proprio il fatto che l'opera realizzata non sia una sorta di copia malfatta del paesaggio reale, ma sia un oggetto totalmente differente. Detto con altre parole, quello che ha fatto il pittore è costruire un oggetto che rappresenta un paesaggio inesistente, ma proprio in questo modo riesce a formare un'esperienza che prima non esisteva.
Un artista va quindi inteso come un costruttore di nuove esperienze, qualcuno che realizza delle situazioni filtrate dalla propria sensibilità; prima del lavoro dell'artista non avremmo mai potuto avere esperienza di quel particolare mondo.
In questo senso un'opera d'arte è espressiva, poiché riflette quelle scelte equilibrate che l'artista è riuscito a fare guidato da un particolare stato d'animo; è proprio per questo motivo che riusciamo a cogliere delle emozioni uniche nel vedere certe opere d'arte.
L'idea dell'artista che “realizza esperienze concrete” filtrate dalla sua sensibilità non è chiaramente applicabile solo alla costruzione di oggetti che persistono nel tempo, come testi letterari, dipinti o statue, ma riguarda anche le performances.
Danzare, recitare, correre, giocare a ping pong, cucinare … tutte queste azioni possono costituire per chi le pratica e chi ci entra in contatto delle esperienze nuove e uniche.
Finora abbiamo parlato solo di come viene realizzato un oggetto espressivo, ma non è stato ancora detto nulla sul modo in cui qualcuno riesce a recepire lo stato d'animo espresso dall'opera.
Per Dewey la capacità di riconoscere l'espressività di un'opera viene anch'essa da una forma di expertise e non viene “trasmessa” per magia: di fatto è possibile che un'opera non ci dia alcun tipo di esperienza particolare⁷ perché non abbiamo abbastanza addestramento sensoriale, oppure perché l'esperienza rappresentata o i sentimenti espressi non ci sono affini. Per saper cogliere certe scelte è necessario che delle specifiche capacità siano già maturate dentro di noi.
Io ho parlato dal punto di vista di chi agisce. Ma considerazioni precisamente analoghe stanno dalla parte di chi percepisce. Nel caso di uno che realmente veda la pittura o ascolti la musica debbono esserci canali di risposta indiretti e collaterali preparati in anticipo. Questa preparazione motoria è una gran parte dell'educazione estetica in qualsiasi tratto particolare. Sapere cosa bisogna guardare e come è una questione di prontezza da parte dell'apparato motore. Un abile chirurgo è il solo che apprezza l'abilità artistica nell'operare di un altro chirurgo; egli lo segue con simpatia, benché non palesemente, nel proprio corpo. […] Non occorre saperla lunga per sul mescolare le tinte nella tavolozza o sulle pennellate che trasferiscono i colori sulla tela per vedere il quadro nel dipinto. Ma è necessario aver pronte determinate vie di reazione motoria, dovute in parte alla costituzione di nascita e in parte all'educazione attraverso l'esperienza.⁸

Per saper apprezzare e comprendere certi oggetti artistici è necessario quindi avere una preparazione che permetta di cogliere certi elementi dell'opera. Senza un'adeguata preparazione non c'è nemmeno la possibilità di apprezzare particolari scelte o indizi.
A questo punto si capisce anche come un individuo possa avere un'esperienza estetica trovandosi a contatto con un oggetto artistico: se io ho le capacità di cogliere certe scelte espressive lasciate dall'autore, allora sarò in una situazione in cui la mia attenzione aumenterà in modo netto, cercando di focalizzarsi sulle qualità dell'opera. In questo modo io vengo catturato dall'opera, poiché riesco a riconoscere una serie di componenti (e di scelte sottostanti) che mi sono familiari e vicine, ma allo stesso tempo distanti (banalmente perché sono interpretate e espresse da qualcuno che ha una sensibilità differente dalla mia, seppur affine); la mia attenzione cerca e comprende, esplora l'opera, tutto il mio corpo è facilitato dal fatto di essere addestrato a cogliere quegli elementi.
Questi sono tutti i sintomi che caratterizzano un'esperienza estetica, per come ne avevamo parlato nella seconda sezione. L'importanza della competenza nel recepire le azioni è rappresentata molto bene dal riferimento a Wenge che abbiamo già fatto. Durante la partita tra Kazama e Hoshino si riesce a percepire l'entusiasmo e la sorpresa della partita anche negli spalti, ma solo in pochi riescono a comprendere la partita a un altro livello. Nel dialogo che hanno, il coach dimostra solo stupore nel vedere il modo di giocare di Hoshino, mentre Wenge (giocatore competente e molto più addestrato) riesce a cogliere l'entusiasmo che anche Kazama sta provando nel giocare con Peko. Lo stesso stato d'animo viene colto anche dal mister Koizumi e dalla vecchia Tamura, entrambi ex-giocatori di tennis-tavolo.

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In ogni caso, dopo questo esempio “di riscaldamento” inizierò con l'analisi di vari passi dell'opera.
Sperando che sia tutto chiaro, provo a riassumere le cose da tenere a mente:

  • Gli artisti (nel senso di “coloro che fanno arte”, cioè persone che costruiscono oggetti che provocano reazioni estetiche) sono individui che riescono a costruire peculiari esperienze concrete.
  • Gli artisti (nel senso di “coloro che fanno arte”, cioè persone che costruiscono oggetti che provocano reazioni estetiche) sono individui che riescono a costruire peculiari esperienze concrete.
  • Sia per fare arte che per percepire l'arte sono necessarie delle forme di competenza motoria dovute dall'addestramento.
  • Gli atti espressivi hanno bisogno di impulsi emotivi, che devono essere ben conosciuti ed equilibrati. -Le spinte emotive “orientano” l'azione dell'artista nell'atto espressivo. Un atto espressivo non è una forma di sfogo.

Finalmente abbiamo tutti gli strumenti necessari per mostrare il legame più forte tra Dewey e Matsumoto.

4) “Spazzalo via!” 

Arrivati a questo punto qualcuno potrebbe notare qualcosa di sospetto. Di fatto tutti i personaggi del manga giocano a Ping Pong, anche con una certa bravura. Ma allora perché l'unico personaggio che riesce a provocare delle esperienze estetiche giocando è solo Peko? Perché ci riesce lui e non ci riescono Drago o Wenge? Inoltre è piuttosto bizzarro che Peko diventi capace di fare queste cose solo a partire dalla seconda parte dell'opera. Perché non ne era capace anche prima?
Queste domande sono legittime. Mi permetto però di rispondere “al contrario”, partendo dall'ultima. Di fatto, Peko diventa capace di esprimere certe emozioni solo dopo il suo dialogo con Sakuma, in cui gli consiglia di allenarsi fino a sputare e cagare sangue⁹, e dopo l'allenamento di Michio. Il cambiamento di Hoshino non è esclusivamente di tipo emotivo: Peko è un personaggio molto ironico, emotivo, infantile, entusiasta, determinato e, in certi casi, anche strafottente.
Molti di questi tratti continuano a essere presenti in Peko anche nella seconda parte dell'opera¹.
Non credo però che questa alterazione emotiva sia sufficiente per spiegare il cambiamento “espressivo” di Peko: la mia idea è che il personaggio nelle due fasi esponga in modo chiaro la differenza tra sfogo ed espressione.
Nella prima parte dell'opera, Hoshino è in preda ai suoi impulsi emotivi: è un personaggio con un grande “istinto” per il gioco ma è pigro, svogliato, gioca per soldi, per sollazzo o per esibirsi. Il tennis-tavolo per lui è un modo per sfogare l'entusiasmo che prova, giocando con avversari più deboli di lui che non fanno altro che renderlo arrogante.
Ora, è facile notare che Peko diventa capace di esprimersi tramite il ping pong solo dopo il risveglio dell'eroe. Però, se il risveglio dell'eroe (cioè della capacità espressiva di Peko) fosse legato esclusivamente all'eliminazione della sua arroganza e alla percezione di nemici più forti di lui da battere, non si capisce perché l'eroe non si sia manifestato dopo la sconfitta con Wenge e con Sakuma. Il punto della questione è che Peko non sa come esprimere quelle spinte emotive che sente, perché non ha una competenza sufficientemente adatta del materiale che deve usare per esprimerle. Viene continuamente sottolineato nella prima parte dell'opera che Peko non ha tecnica, che è svogliato (tanto da presentarsi raramente agli allenamenti), che un giocatore fortissimo come Smile dovrebbe smettere di giocare con lui per non prendere cattive abitudini.
L'eroe si risveglia dopo che Peko inizia ad allenarsi con la vecchia Tamura, chiedendole di riniziare dai fondamentali. L'allenamento di Michio è estremamente tecnico (tanto che l'opera dedica pagine intere a descrivere come arginare il problema del rovescio fallace di Peko) e serve a Hoshino per imparare a padroneggiare le regole implicite che un buon giocatore del tennis-tavolo deve conoscere perfettamente¹¹. È solo con l'acquisizione di una competenza tecnica dovuta all'allenamento e una coordinazione con le proprie spinte emotive che Peko diventa capace di “esprimere” stati d'animo come l'entusiasmo giocando a tennis-tavolo.
Come un musicista che inizia a improvvisare su un pezzo che ha ripetuto mille volte oppure un pittore che rompe i canoni delle scuole precedenti alla sua, Peko impara a padroneggiare le regole del ping pong per poi farle esplodere totalmente nella partita con Kazama. In quel caso le sue mosse bizzarre non sono semplici vanterie per sfoggiare la propria superiorità verso l’avversario, bensì un modo per esprimere il suo entusiasmo nel giocare a tennis-tavolo. Qui Peko sembra avere tutte le condizioni adatte per usare il ping pong come uno strumento espressivo. 

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Detto questo, possiamo rispondere alle altre domande. Perché Peko è l'unico personaggio che provoca un'esperienza estetica ai suoi avversari?Per farlo analizzerò perché, invece, altri due personaggi fondamentali dell'opera (cioè Kazama e Smile) non riescano a trasformare il loro gioco in un atto espressivo¹².

Nelle poche pagine che Matsumoto dedica ai ricordi di Kazama, Drago è presentato come un personaggio con un'educazione ferrea e un grande senso dell'orgoglio. Una parte consistente delle scene necessarie per comprendere le idee del personaggio si ritrovano nel capitolo 47 che, indicativamente, è intitolato Il cuore di Kazama.
Oltre a citazioni già presentate nel primo articolo come Perdere è come morire/ La verità è nella vittoria/ Il compromesso è come mozzarsi un braccio, troviamo una serie di affermazioni frammentarie che ci permettono di comprendere come Kazama viva il fatto di essere migliore nel ping pong:

Arriverà il momento che vanifica tutti i tuoi sforzi...
E proverai l'inutilità della vittoria.
Ti tormenterai sul perché hai combattuto.
Ma non permetterai mai a questi dubbi di fermarti.
[…]
Stai concedendo... un'apertura!
L'apertura chiama la sconfitta!
La sconfitta è morte¹³.
Qui Dragon dimostra di saper solo intuire alcune cose che diventeranno chiare solo dopo: Kazama riconosce l'inutilità delle sue vittorie e del suo allenamento, proprio per questo dà una risposta differente a Sakuma e Sanada¹⁴. Per questo Drago non sa il motivo per cui sta giocando e si sta impegnando così tanto, lui sa solo di avere un imperativo, cioè quello di vincere.
Per questo motivo lo scopo del personaggio di Kazama è quello di essere il più forte (quello di raggiungere il decimo di secondo di reazione), per la paura di qualcosa che gli è stata presentata come orribile e inaccettabile. Per lui giocare a ping pong è solo fuggire dalla sconfitta, quindi dalla morte, per questo il gioco per lui non è altro che uno sforzo continuo, una lotta costante contro le proprie aperture e contro se stesso. In questo caso sono proprio questa frustrazione e questo dolore che non permettono a Dragon di effettuare un atto espressivo: è il sovraccarico emotivo del personaggio che gli impedisce ciò che Peko, in modo totalmente diverso, riesce a realizzare in modo brillante. Ma se è così, come riesce Peko a esprimersi durante la partita con Kazama? L'entusiasmo di Peko viene già preparato nelle fasi preparatorie della partita, quando si trova di fronte a Drago sul tavolo da gioco:
Che sensazione opprimente…
Beh è l'uomo che ha toccato per ben due volte la vetta…
Non va bene. Se vengo sopraffatto sono finito.
Se mi spavento ho perso.
Se esito… morirò!¹⁵

In questo modo Peko si pone degli obiettivi precisi durante lo scontro, regole che non deve violare. Lui cercherà in ogni modo di non provare quelle emozioni, perché sa che altrimenti sarà sconfitto. Qualcuno potrebbe intelligentemente notare che in questo caso il discorso di Peko non è così differente da quello che viene fatto da Dragon, dopotutto entrambi equiparano la sconfitta/la violazione di certe norme con la morte. Io però farei notare che l'ultima frase è scritta all'interno della prima vignetta di pagina 29, che rappresenta il piccolo Peko mentre finge di essere l'Eroe proveniente dal pianeta Ping Pong. Approfitto di questa specifica scena per aprire una parentesi tematica che avrà i suoi frutti tra qualche riga.

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Inizio questa digressione con un'affermazione bizzarra: il senso di quella singola vignetta riguarda il carattere finzionale delle affermazioni di Peko, su questo si gioca la grande differenza tra lui e Kazama.
Dopo aver perso il primo set, infatti, Peko è in netto svantaggio rispetto a Kazama, per quello chiede all'eroe di venire in suo soccorso. La figura dell'eroe è enigmatica ed è presente nella serie sin dall'inizio; cosa però questa rappresenti diventa più chiaro solo nell'ultimo volume. L'Eroe del pianeta Ping Pong non è altro che un gioco che Smile e Peko facevano da bambini: dalla rappresentazione (volutamente) confusa dei ricordi di Smile capiamo che l'eroe è un modo in cui Peko decide di alzare il morale all'amico fingendosi un eroe invincibile che può salvarlo da ogni situazione. La cosa può avere anche un valore metaforico: l'eroe non è altro che il gioco del ping pong che, praticato con altri ragazzi, permette a Smile di uscire dallo stanzino in cui si rinchiude nei momenti di depressione (per le prese in giro degli altri ragazzini oppure per la tristezza dovuta alla separazione dei genitori). L'Eroe è un personaggio invincibile che arriva e salva la situazione, riuscendo a portare chi lo invoca in una posizione positiva e felice.
Ci sono quindi delle ottime ragioni per credere che, quando Peko fa quelle affermazioni, lui si stia imponendo delle regole che gli servono per un'immedesimazione finzionale (come un attore che recita una parte a teatro e decide di non guardare negli occhi il pubblico, come regola per non distrarsi). Quando da bambini fingiamo che il terreno sia coperto di lava, noi sappiamo di non morire davvero quando lo tocchiamo con i piedi, ma questo non ci vieta di prenderlo meno sul serio. Allo stesso modo, quando ci troviamo a teatro, noi sappiamo che l'assassino non sta veramente uccidendo una delle attrici, ma questo non ci impedisce di credere che stiamo, finzionalmente, assistendo a un omicidio.
Qui Peko fa la stessa cosa. Lui sa di non essere abbastanza in forma per giocare contro Kazama, sa di essere stanco (tanto da non riuscire a giocare al meglio neppure la partita precedente¹⁶) e che ogni mossa azzardata potrebbe provocargli un infortunio al ginocchio, portando conseguenze tremende per la sua carriera. Nonostante questo, per andare in soccorso a Smile, lui “si mette nei panni dell'Eroe”. Peko sa benissimo che non accadrà nulla se perderà ma, se dovesse succedere, sarebbe l'Eroe a morire senza riuscire a salvare chi ha bisogno di aiuto.
Richiamiamo il passo che avevo già citato nello scorso capitolo, quello in cui descrivo l'esperienza estetica di Peko (Sono veloce come un fulmine/ Memoria illimitata/ etc.). In quel caso Peko non sta solo descrivendo un'esperienza di forte piacere e di profondo entusiasmo, ma sta elencando le qualità fisiche dell'eroe in cui si sta immedesimando. Peko sa di non andare realmente veloce come un fulmine, ma l'eroe lo fa, per questo lui gioca come farebbe l'eroe; Peko non potrebbe (razionalmente) permettersi di correre, di saltare e fare buona parte delle mosse che effettua contro Drago, visto che ognuna è potenzialmente rischiosa. Ma l'eroe è invincibile, per questo lo fa comunque. Oltre a queste azioni totalmente folli, lo stile di Peko inizia a variare ininterrottamente, con la spontaneità e la capacità tecnica che sono frutto dell'allenamento con Michio, tutto sorretto da un'incredibile spinta emotiva. Questi sono tutti fattori che avevamo descritto nella prima parte dell'articolo, quando provavamo a definire il concetto di espressione secondo Dewey. Vediamo in questo caso che Peko rispetta tutte le condizioni che avevamo ricavato da Dewey per avere un atto espressivo.
Proprio in quel punto avevo accennato a una capacità specifica, cioè all'ordinamento dei propri stati emotivi come una condizione fondamentale per un atto espressivo. Allo stesso modo, però, avevo anche detto che non è chiaro cosa si intenda, poiché dovremmo valutare caso per caso.
Se consideriamo Peko come esempio, questo ordinamento emotivo viene proprio effettuato tramite l'atto finzionale di “diventare l'Eroe”; detto diversamente, convincersi di essere l'Eroe è qualcosa di necessario per l'artista-Peko per “disciplinare” il proprio sentimento di entusiasmo e “selezionare in modo adeguato” le azioni da fare per effettuare una performance artistica.
Io credo che capire questo punto sia fondamentale anche per capire la psicologia di Drago, per questo ritengo necessario espandere ancora un po' questa digressione.
Ultimamente in estetica e teoria dell'arte c'è una grande attenzione verso il modo in cui le nostre pratiche di vita abbiano spesso una natura finzionale. Detto diversamente, quando svolgiamo molte azioni della nostra vita fingiamo (più o meno consapevolmente) che le cose intorno a noi abbiano un carattere diverso: durante una partita a shōgi fingiamo di essere a capo di due armate in guerra¹⁷ oppure quando giochiamo un videogioco facciamo finta di essere realmente dentro al mondo di gioco, facendo realmente compiere delle azioni al nostro avatar (mentre in realtà non esiste alcun personaggio che compie azioni, ma solo movimenti luminosi su schermo).
Anche nello sport, forse, è possibile trovare delle caratteristiche simili.
In un articolo chiamato Sport Viewed Aesthetically, and Even as Art?, Wolfgang Welsch si ritrova a parlare del ruolo “rappresentativo/finzionale” dello sport, scrivendo queste cose:
Sport is as distant from ordinary life as is art. When Othello smothers Desdemona, this is a symbolic act, the actress will survive. Likewise sport’s relationship to life is at most symbolic. Many sports originated from types of aggressive action in ordinary life, but being practiced as sport, this remains only as a symbolic background to them. In sport the struggle is “raised to the level of imagination.’’Or as Santayana put it: “Sport is a liberal form of war stripped from its compulsions and malignity.’’ This is why sport, viewed (and sometimes ironically assessed) from life’s perspective of necessity, often appears absurd: Why do marathon runners enslave themselves so? Why do sporting marksmen compete with such embitterment when all they’re shooting is useless clay pigeons and not real pigeons that one could roast afterward? Isn’t it simply idiotic to constantly drive in a circle at high speed (as Niki Lauda said when retiring from Formula One sport)? The following point also makes evident the difference between sport or art on the one hand and life on the other hand. If Othello were to carry on smothering someone in normal life, after having left the stage, he would be arrested, as would a linebacker who continued hurling all his weight into bruising tackles away from the football field and into the streets. Sport as well as theater take place in particular spaces, separate from the everyday world. What the stage is to theater, the playing field, boxing ring, or the race track are to sport. Art as well as sport are, compared to life, symbolic activities in terms of their structure.¹
Quindi, secondo Welsch, lo sport dovrebbe essere inteso come una sorta di guerra, epurata da violenza e odio reali. È nel fingere di scontrarsi con gli altri che certi atleti si ritrovano a fare delle azioni totalmente folli e spericolate con una grande tenacia e convinzione.
Questa citazione sembra venirci incontro in modo estremamente pertinente poiché ci permette di dare conferma a tutto quello che abbiamo detto finora su Peko e sulla sua decisione di fare gesti assurdi “dopo essere diventato l'eroe”. Oltre a questo, possiamo finalmente comprendere anche un punto importante della psicologia di Kazama, passo necessario per finire il nostro discorso.

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Sia la tenacia che la paura di Kazama sembrano infatti originate da un modo di intendere lo sport che tende ad identificarlo con una guerra o una lotta per la vita, proprio come lo fa Peko immedesimandosi nell'eroe. Però, mentre Hoshino crede finzionalmente che la sconfitta sia una forma di morte (cioè lo crede solo durante la durata dell'incontro), Kazama sembra avere le idee estremamente confuse a riguardo. Quello che lui sembra fare è prendere la metafora dello sport come guerra in modo quasi letterale, non riuscendo poi a distinguere tra l'elemento reale e quello irreale. Potremmo dire quindi che Kazama prende fin troppo sul serio questa idea. Descrivendo questa dissociazione, drammatica, tra realtà e finzione però, ci viene dato anche un indizio fondamentale per capire in che modo Drago si faccia contagiare dall'atto espressivo di Peko.
Riprendiamo Dewey: Kazama ha già le competenze tecniche e motorie necessarie per “seguire” il gioco di Peko e parteciparvi ma, oltre a quello, Drago rimane impressionato da uno stile di gioco in cui riconosce una vitalità che a lui manca totalmente.
Questo però non è ancora sufficiente per spiegare in che modo Kazama provi un'esperienza estetica giocando con Peko; è necessario mostrare che esiste un'affinità “spirituale” tra i due. Detto con altre parole, bisogna far vedere che Kazama era capace di “cogliere” (non solo a livello motorio, ma anche concettuale) le emozioni espresse da Peko.
Io credo che, per comprendere questo ultimo passo fondamentale, dobbiamo considerare il modo in cui Peko esprime questo entusiasmo e come questo sentimento sia percepibile da Drago.
Come è stato già sottolineato più volte, il cambiamento stilistico di Peko viene espresso tramite un uso esplosivo del movimento; immedesimandosi nell'Eroe, Hoshino cessa di giocare in modo sicuro e inizia a compiere azioni estremamente rischiose (saltare, scattare, etc. ) che potrebbero compromettere la sua carriera.
A mio parere è questo il punto che permette di comprendere bene come Drago venga contagiato dall'entusiasmo di Peko.
Più volte è stato ribadito che uno dei sentimenti che caratterizza Kazama è quello della paura: Drago è terrorizzato dalla possibilità che i suoi sforzi (fatti per chi?) si rivelino un sacrificio totalmente inutile. Incapace di avere uno scopo concreto che non sia quello di evitare la sconfitta, Drago è costretto a vincere e a ripudiare la disfatta. Proprio perché la sua vittoria è fine a sé stessa, Kazama è terrorizzato dalla possibilità di perdere; tolte le sue vittorie cosa gli rimane? Il contatto emotivo con Peko avviene proprio per questo motivo: Kazama rivede nel ginocchio di Hoshino quella paura che lo attanaglia.
Cercherò ora di mostrare il motivo per questa affermazione tramite un'analisi testuale. Riprendiamo ancora il capitolo 47, quando il monologo interiore di Kazama ha inizio.
Prima o poi lo scoprirai anche tu…
L'inquietudine della vittoria…¹⁹
Kazama riconosce la forza dell'avversario che ha sconfitto Wenge, ma conosce anche le sue condizioni fisiche. Anche per questo motivo lui è sicuro di vincere, nonostante riconosca il talento di Hoshino. Lo stesso allenatore del Kaio rimarca che:
Kazama si sente predestinato alla vittoria.
È inevitabile...²
Quindi Kazama è sicuro della sua vittoria proprio perché è sicuro che Hoshino giocherà nel modo più razionale, evitando mosse azzardate. In questo caso i costi sono estremamente superiori ai benefici per Hoshino se vuole provare a vincere, quindi non sarebbe sensato fare diversamente: se Peko vincerà miracolosamente contro Drago, si ritroverà comunque ad affrontare Smile in finale, che sarà una sconfitta sicura dopo la stanchezza accumulata nelle partite precedenti. Peko si è già qualificato per i nazionali, vincere o perdere un torneo studentesco ora è qualcosa di irrilevante. L'unica soluzione plausibile è quella che Peko perda contro Kazama. Faccio notare che alla base del modo in cui Drago cerca di prevedere i comportamenti di Peko c'è l'idea che ciò che conti è la vittoria. Proprio per questo motivo Drago rimarrà spiazzato dalle mosse dell'avversario. Peko gioca per “salvare Smile”, non per il puro scopo di vincere. A supporto di questa interpretazione faccio notare un fatto fondamentale, cioè che Drago rivolge la sua attenzione verso il ginocchio di Peko per ben tre volte durante la partita. La prima volta avviene all'inizio della partita, la seconda dopo il primo set, la terza dopo l'arrivo dell'Eroe²¹.
Io credo che la prima e la seconda volta che Drago si riferisce al ginocchio di Peko, lui non lo faccia per sincera preoccupazione o pietà. Drago prova ripetutamente a intimorire e a provocare l'avversario durante la partita, probabilmente anche per sfogare la rabbia che prova nel vedere il talento di Hoshino²². Oppure quando Peko gli chiede, in un misto tra serietà e scherzo, di concedergli la vittoria, Drago rifiuta trovando la richiesta assurda. Se Kazama fosse seriamente preoccupato per Peko, questi due comportamenti risulterebbero totalmente insensati. La mia idea, proprio per questo motivo, è che Kazama riveda nel ginocchio di Peko ciò che lo terrorizza, cioè una sconfitta totalmente irreversibile. Fino all'arrivo dell'eroe, queste sono le convinzioni che muovono il personaggio di Drago.
Nel momento in cui, però, Peko inizia a immedesimarsi nell'Eroe, tutto cambia. Come è stato fatto notare già più volte, il suo stile non diventa solo estremamente creativo, ma anche rischioso. Per quale motivo agire in questo modo quando i costi sono così onerosi? Questo cambiamento non rovescia solo l'andamento della partita, ma spinge anche Drago a rivalutare le sue posizioni. Ciò che Peko dovrebbe fare in questo momento è giocare nel modo più sicuro possibile, se lo scopo di Hoshino è realmente quello di arrivare sulla vetta del tennis-tavolo. Allora perché non lo sta facendo? Quale è il suo obiettivo? È possibile che vincere non sia qualcosa di così importante? Che ci sia altro?
Si noti che la terza volta che Kazama rivolge la sua attenzione al ginocchio di Peko, la cosa non viene esplicitata, ma viene fatta capire solo dall'accostamento delle vignette. Qui Kazama si trova in una situazione intermedia: da una parte sta provando qualcosa di vitale e di nuovo, dall'altro però continua ancora a non capire perché Peko stia rischiando così tanto.
Hoshino intuisce le preoccupazioni dell'avversario e risponde:
Non ti preoccupare per il mio ginocchio.
Giochiamo la nostra migliore partita …
 Ti amo Drago…
Smack ♡²³
Proprio a partire da quel momento, dopo che Kazama abbandona ogni preoccupazione e ogni paura, il personaggio inizia ad avere quell'esperienza estetica che avevo descritto nel primo articolo, così come riesce a comprendere l'entusiasmo di Peko e a parteciparvi.
Forse giocare a ping pong non è solo una guerra e vincere a volte non è così importante. 

Arrivati a questo punto, rimane da analizzare perché Smile non riesca a effettuare atti espressivi, per poi vedere come la teoria dell'espressione di Dewey ci permetta di comprendere la partita tra Smile e Peko. Riguardo al primo punto, Dewey specifica che per effettuare un atto espressivo è necessaria una spinta emotiva, altrimenti l'azione non diviene niente di più che un movimento tecnico. Questo fattore è totalmente assente in Smile. Questo non implica che lui non abbia emozioni²⁴, ma che queste non abbiano un impeto che permetta a Smile di esprimerle nel ping pong. A differenza di Peko, Smile ha una capacità tecnica formidabile (tanto che Kazama ne riconosce il valore osservandolo durante il campionato delle medie e Wenge crede di poter perdere contro di lui durante il loro primo incontro), ma è totalmente incapace di gestire attivamente le proprie emozioni per fare in modo che “lo orientino” nelle sue azioni.
In questo modo diventa molto semplice capire perché l'Eroe debba salvare Smile. Come avevo già accennato, l'Eroe è un personaggio in cui Peko si immedesima per giocare insieme a Smile; possiamo sensatamente sostenere che sia anche il modo in cui Smile venga salvato dalla depressione e dalla solitudine grazie al ping pong, uno sport da dover praticare con altre persone.È chiaro che sia proprio l'azione di coppia che porta a legare con gli altri, a stringere rapporti con loro ed evitare la solitudine in cui si rinchiude Smile.
In un flashback viene mostrato che è proprio Hoshino a introdurre Tsukimoto nel mondo del tennistavolo e, probabilmente, a fargli provare quell'entusiasmo per il gioco. Dovremmo tenere sempre a mente che Smile/Robot/Golgo aveva questi soprannomi proprio per il fatto che non ridesse mai, cosa che cambiava totalmente quando giocava a ping pong.
L'attesa dell'eroe non è altro se non questo, cioè l'attesa di un amico che riesca a esprimere quelle fortissime emozioni che lui, da solo, non riesce a elaborare e che il ping pong rende possibile in quanto sport da eseguire insieme a un'altra persona.
Sia Smile che Drago infatti vengono contagiati dall'entusiasmo di Hoshino poiché si trovano a giocarci insieme, a condividere con lui le mosse e le scelte estetiche. In quel caso, siamo sicuri che Peko sia colui che inizia a compiere l'atto espressivo, ma questo è attuabile proprio perché esistono altri giocatori che partecipano insieme a lui e che possono seguirlo nella costruzione di una performance artistica, almeno come succede in una jam session o in una danza.
Quindi Smile riesce a comprendere l'atto espressivo di Peko proprio perché è quello che lui si ricordava e che era costruito intorno alle scene della sua infanzia che l'avevano portato ad appassionarsi e a iniziare a giocare²⁵.

Conclusioni

Ping Pong Taiyo Matsumoto Analisi Esperienza Estetica Masaaki Yuasa Manga

In questi articoli ho provato a mostrare che esiste una correlazione tra il modo in cui John Dewey teorizza le esperienze estetiche e come queste vengano rappresentate nell'opera Ping Pong di Matsumoto Taiyō. Come ho già avuto modo di sottolineare, non c'è alcuna pretesa “storica” che mi spinge: non ho lo scopo di sostenere che Matsumoto sia un lettore di Dewey, tantomeno che ne sia stato influenzato. C'è qualcosa che, però, mi pare di aver percepito da entrambi gli autori e che ho voluto provare a esprimere nel modo più chiaro che ho potuto.
Sia Matsumoto che Dewey hanno una visione non intellettuale o elitaria delle esperienze estetiche e del ruolo che hanno nella nostra vita: tutti noi le possiamo provare in situazioni diverse, partecipando a pratiche differenti. Le esperienze estetiche sono in qualche modo “incarnate” nei modi in cui viviamo comunemente.
Una conseguenza di questa idea è che non esistano pratiche privilegiate per avere un accesso a esperienze estetiche (queste non avvengono esclusivamente contemplando un quadro o durante una pièce particolarmente intensa), ma che vi siano tantissime vie differenti.
In questo senso dovremmo intendere il nostro approccio alle cose belle (se non all'arte) in un modo differente: invece di una semplice contemplazione, queste esperienze dovrebbero essere intese come un'interazione, un'attività da avere con l'ambiente che ci circonda.
Questa visione esplorativa dell'esperienza sembra essere qualcosa di molto presente nelle opere di Matsumoto e permette di collegarci alla proposta iniziale del primo articolo. L'obiettivo che ha mosso questi articoli è stato chiarificare la sciamanica frase “Ping Pong è un'opera che usa il ping pong per parlare della vita”.
Quello che ho ottenuto, alla fine di questa analisi, è che Ping Pong “parla di vita” perché parla di come certe pratiche intensifichino a livello qualitativo le esperienze che viviamo, ma ho anche cercato di mostrare che queste esperienze si presentano anche tramite un atto di comunicazione, cioè quello espressivo. C'è qualcos'altro sotto?
Quello che io credo è che sia Dewey che Matsumoto condividano un'idea comune sul ruolo pedagogico che hanno le esperienze estetiche: esperienze di questo tipo si presentano quando notiamo qualcosa di più profondo nell'ambiente che ci circonda, quando le nostre predisposizioni (naturali o culturali) ci permettono di cogliere qualcosa che prima non riuscivamo a vedere e considerarlo come “nostro”. In questo senso, le esperienze estetiche sembrano veramente importanti per il modo in cui comprendiamo il mondo intorno a noi. Dedicare parte della nostra vita a una o più passioni, cercare di mostrare agli altri degli stati d'animo che abbiamo maturato per molto tempo e fare in modo che loro comprendano i nostri oppure, più in generale, giocare con gli altri e con gli oggetti che il mondo ci offre sembra essere qualcosa veramente fondamentale per il modo in cui viviamo.
Mi permetto un'ultima correlazione tra Dewey e Matsumoto presentando questa bellissima citazione presa dal quarto capitolo di Art as Experience:

Attraverso gli abiti di vita che si formano con il rapporto con il mondo anche noi abitiamo il mondo. Esso diviene una casa per noi e la casa è parte di ogni nostra esperienza.
Come allora gli oggetti dell'esperienza possono fare a meno di divenire espressivi? Eppure l'apatia e il torpore nascondono questa espressività costruendo un guscio intorno agli oggetti. La familiarità porta all'indifferenza, il pregiudizio ci acceca; la presunzione guarda attraverso l'estremità sbagliata di un cannocchiale e rimpicciolisce il significato posseduto dagli oggetti in favore della pretesa importanza dell'io. L'arte rimuove i ripari che nascondono l'espressività delle cose sperimentate; ci scuote dalla rilassatezza alla consuetudine e ci rende capaci di dimenticare noi stessi per ritrovarci nel diletto di sperimentare il mondo intorno a noi nelle sue varie qualità e norme. Intercetta ogni ombra di espressività trovata negli oggetti e li riordina in una nuova esperienza di vita.²⁶
É in questo confondersi con gli altri e con il mondo che si realizzano delle esperienze che hanno un'intensità differente e nuova, che ci scuote dall'indifferenza, ci permette di vedere cose prima invisibili e di fa abitare il mondo in modo più profondo.
Nell'ultimo capitolo di Ping Pong assistiamo a un dialogo tra i due personaggi che hanno subito il cambiamento più grande dopo essere entrati in contatto con l'Eroe, cioè Kazama e Tsukimoto. Il soprannome Smile ora non è più un nominativo sarcastico, ma una descrizione calzante di un personaggio tranquillo e rilassato, che dall'essere chiuso e isolato decide di lavorare con i bambini come maestro di scuola elementare²⁷. Dragon invece ha smesso di radersi e non ha più lo stesso approccio militaresco, saluta la vecchia Tamura senza formalità e parla con Smile di come non sia stato richiamato in nazionale. Per il personaggio che concepiva la sconfitta come morire ora è impensabile dedicare la vita al tennis-tavolo. Entrambi hanno fatto un cambiamento sostanziale, la loro prospettiva sulle cose è diversa; sia Dragon che Smile si ritrovano a non essere i geniali giocatori che erano, a non avere più “né la forza né il talento”.
Eppure emanano entrambi una grande tranquillità.

Ping Pong Taiyo Matsumoto Analisi Esperienza Estetica Masaaki Yuasa Manga

Qui Dragon, con un po' di malinconia, fa una confessione a Smile:
Ultimamente penso che finirò la carriera da giocatore mediocre.²
La risposta di Smile è il fulcro dell'intera opera.
Non c'è niente di male nell'essere mediocri.
Mi piacciono gli atleti mediocri.
L'eccellenza, il vincere a tutti i costi, non è sempre il modo in cui si raggiunge una vita ben vissuta. C'è chi riesce a vincere, ad arrivare al massimo livello di ciò che fa, ma solo per alcuni questo si concilia con un'esperienza piena e vivificante (come nel caso di Peko).
 Perdersi nelle cose, nel gioco, forse è più importante di vincere a tutti i costi se lo facciamo per umiliare gli altri, per sentirsi forti, oppure solo per il gusto della vittoria.
A volte alcune pratiche vanno prese sul serio, ma solo per essere buttate quando ci accorgiamo che ci hanno fatto comprendere qualcosa che prima non potevamo notare. È in questo senso che per Smile (e per Dragon, interpretando i suoi discorsi) il ping pong competitivo “non è solo un gioco”, perché è qualcosa senza il quale loro non avrebbero compreso qualcosa di essenziale e di unico. Ma il ping pong è anche come una scala che può essere buttata una volta raggiunto il suo scopo, cioè quello “di salire più in alto” (di vedere paesaggi unici o di volare, direbbe qualcuno). Un invito a esplorare secondo i propri interessi (perdersi in essi) capendo fino a che punto ci è lecito salire e fino a che punto è sensato lasciare, sapendo che, comunque vada, le cose intorno a noi avranno sempre qualcosa da offrirci se approcciate nel giusto modo; in questa idea si trova uno dei sensi più importanti della frase “Ping Pong parla della vita”.

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Note

  1. Sono consapevole che il tema dell'empatia è al centro di un dibattito sterminato in neuroscienze e psicologia cognitiva, specialmente nell'ultimo periodo. Nell'articolo non intendo riferirmi a questi ambiti specialistici, chiaramente, ma a una concezione “comune” di empatia (o di comunicazione artistica) che viene spesso adottata da appassionati o critici. La teoria dell'espressione che presenterò nell'articolo è abbastanza rudimentale, ma il mio scopo non è quello di fornire la miglior spiegazione dei fenomeni di comunicazione artistica, quando quello di mostrare che anche certi concetti che solitamente assumiamo come “innocenti” richiedono un'analisi più approfondita.
  2. Arte come Esperienza, p. 73.
  3. Chiaramente in senso lato (non solo istituzionale); ci sono tantissimi casi di artisti autodidatti che riescono a esprimere certe sensazioni in modo estremamente brillanti.
  4. Arte come Esperienza, p. 85.
  5. L'esempio è ancora più semplice nel caso di un pittore che osserva un paesaggio e cerca di rappresentarlo facendosi guidare dalla memoria nel suo atelier. In questo caso la memoria ha già fatto una selezione di elementi da “tenere per sé” di quella particolare esperienza, scartando gli altri. Il modo in cui il pittore inizierà a rappresentare il paesaggio qui sarà necessariamente irrealistico (a livello di dettagli e di colori), proprio perché la memoria stessa ha già cancellato alcuni di questi elementi.
  6. Questi sono esempi generali, ma non ci sono dubbi che in realtà il processo sia estremamente più complesso e strutturato.
  7. Spesso su internet si tende a dare una classificazione a oggetti come “opera d'arte” o “capolavoro” in base a fattori come la sua universalità, cioè la capacità di “parlare” a più persone possibili. Chiaramente il fatto che un'opera abbia affinità con molte persone differenti, in periodi storici differenti, dimostra una sensibilità e una capacità artistica veramente rare negli individui che realizzano tali capolavori; questi casi vanno studiati con massimo impegno e dignità. Ho comunque paura che spesso questa idea, però, si leghi alla visione intrinseca a cui ho accennato nel primo articolo. Per chi sostiene posizioni di questo tipo, cose come essere arte e essere capolavoro sono proprietà intrinseche dell'oggetto artistico (e per questo motivo è possibile trovare dei “canoni oggettivi” per decidere se qualcosa sia arte o capolavoro oppure no, almeno come si decide dai tratti morfologici se un certo animale sia un gatto o meno quando facciamo biologia), allo stesso modo anche la capacità di parlare a tutti sia una sua proprietà reale. Chiaramente, se vi trovate d'accordo con quello che ho esposto finora, troverete abbastanza insensato assumere una posizione di questo tipo.
  8. Arte come Esperienza, p. 114
  9. Ping Pong vol. 3, p.130
  10. Alcuni dei cambiamenti rilevanti di Peko riguardano la sua infantilità e la sua arroganza, atteggiamenti nettamente meno presenti nella seconda parte dell'opera.
  11. Qualcuno con un approccio più semiologico del mio potrebbe dire che Peko impara “il linguaggio del ping pong”.
  12. Non considero Wenge e Sakuma poiché credo che entrambi siano personaggi che cercano di rappresentare altri concetti all'interno dell'opera. Credo comunque che sia possibile analizzare i motivi del perché entrambi i personaggi non siano capaci di esprimersi, solo che appesantirebbe troppo l'articolo in modo davvero poco interessante.
  13. Ping Pong vol. 5, pp.49-50.
  14. Rispettivamente Ping Pong vol. 4, p. 177 e p.189.
  15. Ping Pong vol. 5, pp. 28-29.
  16. Ping Pong, vol. 4, pp. 199-200.
  17. Chiaramente possiamo chiederci fino a che punto questi atti di immedesimazione mimetica siano fondamentali nelle capacità espressive. Quando io gioco a shōgi devo veramente far finta di essere un comandante con un esercito per fare una bella partita? Una delle scene più interessanti della saga delle Formichimere del manga Hunter x Hunter di Yoshihiro Togashi riguarda una partita tra Komugi e Meruem; arrivata a un punto della partita lei, dopo un istante di pausa, rivela di aver provato la sensazione di una madre che uccide il figlio nel contrastare la mossa di Meruem.
  18. Welsch (2005)
  19. Ping Pong vol. 5, p. 48.
  20. Ping Pong vol. 5, p. 47.
  21. Rispettivamente, Ping Pong vol. 5, p. 21, p. 58, p. 104.
  22. Ping Pong vol. 5, p. 34.
  23. Il tema dell'ironia e del suo legame con il carattere finzionale del gioco sono un altro dei grandi temi di Ping Pong che, purtroppo, non trovano alcun approfondimento online. L'ironia è solo un modo per ritenersi superiori ad altri, per umiliarsi sentendosi schiacciati da loro, o esiste anche una terza via “virtuosa” in cui si può essere paradossalmente ironici?
  24. Ping Pong vol. 3, p. 179.
  25. Ammetto di essere dispiaciuto di aver dedicato uno spazio così esiguo alle bellissime scene dell'incontro tra Smile e Peko, ma mi trovo a dover tagliare per due ragioni fondamentali. La prima è che parte degli argomenti presentati nell'analisi della partita con Drago sono sovrapponibili con quelli della partita con Smile, quindi non farei altro che ripetere l'ovvio. La seconda è che, per comprendere pienamente il personaggio di Smile e il suo rapporto con Peko, sarebbe necessario capire due fattori. Il primo è il ruolo della memoria nell'esperienza estetica, argomento a cui ho dedicato uno spazio marginale nell'articolo (ne parlo solo in relazione alle abitudini e all'addestramento), il secondo è quello della costruzione di opere artistiche da fare insieme, come nel caso della partita di ping pong. A differenza della partita con Dragon, il ruolo del contatto e dell'interazione tra individui nel gioco sembra essere un fattore essenziale per capire un personaggio difficile come Smile. In questo momento non sono minimamente capace di fornire un'analisi dell'opera seguendo questi due concetti. Spero vivamente di poterlo fare in futuro, essendo due temi fondamentali nella poetica di Matsumoto.
  26. Arte come Esperienza, p. 121.
  27. Per mostrare il cambiamento a cui mi riferisco, basti notare che nelle prime pagine dell'opera è Smile stesso a rifiutare la proposta della vecchia Tamura di fare da insegnante ai bambini.
  28. Ping Pong vol. 5 p. 195.

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