[Contiene spoiler]
L'apporto più importante di Frank Miller alla mitologia di Batman è forse il modo con cui ha riscritto radicalmente il rapporto che Bruce Wayne ha con il suo alter-ego nel primo capitolo del suo Il Ritorno del Cavaliere Oscuro.
L'opera è ambientata in un futuro alternativo in cui sono passati dieci anni dall'ultima apparizione del supereroe e vi ritroviamo un cinquantenne Bruce Wayne grigio e depresso che si premura di far sapere a Gordon (e al lettore) che Batman è morto, che "non è sopravvissuto alla pensione". Con questo breve scambio Frank Miller opera una prima separazione tra le due figure, quella di Bruce e quella di Batman, che rinforza subito nel monologo seguente in cui, dopo essersi definito un morto che cammina, Bruce inizia a riferirsi a Batman come un Altro, un "lui" che fatica a tenere a bada. Vagando sovrappensiero si ritrova a Crime Alley, il vicolo in cui ha assistito alla morte dei suoi genitori, il luogo dove "lui" lo ha portato e dove "lui" è nato.
Il tema della dualità di questo primo capitolo si fa esplicito nella scena seguente con l'apparizione di Harvey Dent, la nemesi di Batman che ha assunto l'identità di Due Facce in seguito a un incidente che ha sfigurato metà del suo volto e che lo ha portato a sviluppare un'ossessione per l'idea del doppio e dell'ambiguità umana. Dent ha passato gli ultimi 10 anni nel manicomio di Arkham a farsi curare e, dopo un'operazione chirurgica per riparargli il volto, si avvicina finalmente l'ora del ritorno alla civiltà. Miller disegna la scena in cui gli vengono tolte le bende tenendolo sempre al centro di due vignette che lo separano esattamente a metà, tranne a fine pagina in cui, libero da ogni impedimento, può finalmente specchiarsi e riscoprire la sua faccia. Il retro nero dello specchio impedisce però al lettore di vedere bene il "nuovo" volto di Due Facce, quasi a voler lasciare il dubbio su quale delle sue due "facce" sia sopravvissuta.
La possibilità di una redenzione del supercriminale infiamma il dibattito pubblico diviso tra chi non crede che sia uno scenario possibile e chi invece crede che lo sia. Tra quest'ultimi troviamo Bruce Wayne che scopriamo avere persino finanziato di tasca propria le cure di Dent. Simpatetico con la battaglia di Due Facce, Bruce afferma "Dobbiamo credere che i nostri demoni personali possano essere sconfitti". Parla di Due Facce, ma anche di sé stesso, e l'uso della parola "demone" non è casuale o semplicemente figurativo. Uno dei temi ricorrenti dell'opera consiste infatti nell'associare l'Io di Batman che vive in Bruce Wayne a un'origine quasi sovrannaturale. A quell'affermazione segue proprio un incubo notturno in cui vediamo il primo incontro con il suo demone: un giovane Bruce insegue un coniglio giù per una grossa buca nel terreno, chiaro riferimento ad Alice nel Paese delle Meraviglie, e atterra in quella che in futuro sarà la Batcaverna e che al momento è solo un enorme e oscuro covo di pipistrelli. Mentre tutti i suoi compagni fuggono spaventati dal bambino, uno di loro proietta i suoi occhi nel buio come se qualcosa bruciasse al suo interno e inizia a planare verso Bruce per "reclamarlo come suo". Una scena che ha un tenore nettamente mitico, accentuato dall'efficace scandirsi delle vignette che segue il ritmo dettato dall'alternarsi di allitterazioni, rime e ripetizioni dell'ispiratissima prosa di Miller.
Prima ancora che Joe Chill uccida i suoi genitori davanti ai suoi occhi, il Pipistrello si è già impossessato di Bruce Wayne. Miller pone in parallelo la battaglia che Batman e Due Facce portano avanti con il trauma passato che li ha resi quel che sono, ma aggiungendo quest'elemento quasi sovrannaturale avvicina la vocazione del Cavaliere Oscuro a una sorta di maledizione, o a una predestinazione. Come se l'evento tragico che associamo alle sue origini sia stato in realtà solo il catalizzatore di qualcosa che già c'era e che sarebbe prima o poi venuto fuori comunque. E proprio quando il ricordo di quell'evento torna a galla nella scena seguente, il bisogno di essere Batman diventa una pulsione incontenibile. Miller rallenta il tempo usando una griglia fitta e regolare che alterna presente e flashback, il volto di Bruce si tende nel presente mentre nel passato le perle della collana di sua madre cadono al suolo, una metafora della masturbazione che dà alla pulsione di Bruce un tono sessuale, forse freudiano. La griglia si fa sempre più fitta finché la prospettiva non si ribalta e quella stessa griglia diventa la finestrata di Bruce, la sua prigione. La gabbia della tavola è la gabbia in cui Bruce ha rinchiuso il demone pipistrello e in cui, di conseguenza, ha rinchiuso anche sé stesso. Ma non è possibile tenere i propri demoni a bada per sempre e questo vale soprattutto nel mondo dannato scritto da Franki Miller: un pipistrello irrompe infatti spaccando il vetro, rompendo la gabbia della tavola; Batman è tornato.
Dobbiamo quindi credere che i nostri demoni NON possano essere sconfitti? Se lo chiede il lettore e se lo chiede Bruce stesso. Tornando a indossare il costume, Batman sente di avere di nuovo vent'anni, rinasce in un superuomo che del suo anziano alter-ego preserva solo ancora pochi strascichi. Eppure non può non continuare a domandarsi se non ci possa davvero essere modo di tornare indietro e guarire da questa maledizione. Anche per questo, quando viene fuori il sospetto che dietro una recente serie di crimini possa esserci il vecchio Due Facce, Batman decide di indagare. Una volta trovatosi davanti a Harvey Dent, quest'ultimo si rivela essere il pazzoide di sempre e Miller porta a termine il parallelismo tra i due. Il volto ora perfetto di Harvey è spaccato a metà dall'ombra. Batman chiude gli occhi e ascoltando la sua voce vede la sua vera faccia: la metà corrotta ha preso il controllo di tutto il volto. "Guarda pure", lo invita Due Facce. La striscia sotto è speculare, il volto di Batman è sempre più inghiottito dall'oscurità e per un breve istante appare il pipistrello. "Ti vedo", risponde, "vedo un riflesso". Harvey Dent e Bruce Wayne non esistono più, rimangono solo Due Facce e Batman. Non c'è speranza.
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