The Invisibles: Destinazione Arcadia


Alla ricerca del nocciolo della questione in The Invisibles concentrandoci sul secondo story-arc "Arcadia", e sulle molteplici citazioni extra-testuali in esso contenute. Si parlerà di uomini con grandi ambizioni, del potere dell'arte e dell'idea di utopia.


Prima dell'articolo vero e proprio, una breve introduzione realizzata da un amico il cui aiuto e supporto sono stati fondamentali per la pubblicazione di quest'articolo.
La prima volta che ho incontrato il nome di Grant Morrison è stato leggendo All Star Superman.  Prima di allora non avevo mai letto nulla di questo autore scozzese, seppur si trattasse un di un nome ben noto negli Stati Uniti.
Il primo incontro con questo autore è stato straniante. Avevo la sensazione che mi fosse sfuggito qualcosa durante la lettura. Non ero in grado di capire se fosse dovuto a una mia mancanza di conoscenza della storia editoriale del personaggio di punta dell'universo DC o se invece fosse colpa dell'autore stesso. Non ho più riletto All Star Superman per diverso tempo prima di formulare una più chiara idea su cosa fosse successo durante la lettura. Ho lasciato che quelle storie si sedimentassero dentro di me prima di cercare di farmi una seconda opinione. 
Poi ho letto Flex Mentallo. A quel punto è stato tutto molto più chiaro: entrambi i miei pensieri avevano una valenza di verità, ma erano declinati nel modo sbagliato. 
Quando finalmente mi sono approcciato quasi contemporaneamente sia a The Invisibles che all'inizio della run dell'autore sul personaggio di Batman (n.655-658) ciò che stava accadendo era diventato lampante. Non solo Grant Morrison dava per scontate determinate nozioni provenienti dai più svariati ambiti culturali ma saltava deliberatamente delle scene all'interno delle sue narrazioni creando delle micro ellissi spaesanti per un lettore come me.
Non solo percepivo di aver trovato con The Invisibles il fumetto americano perfetto per me ma percepivo anche di essere il lettore sbagliato per Batman (o almeno per quel Batman).
Mettendo a confronto le due serie mi sono lentamente convinto che dando per scontati certi concetti chiave della letteratura o certi momenti topici della vita di Bruce Wayne l'autore stava dando prova non solo di essere in grado di creare dei veri e propri collegamenti intertestuali (connettendo di fatto le sue narrazioni alle narrazioni degli autori precedenti) ma di avere un incredibile rispetto per i suoi lettori. Non si trattava solo di citazioni ma di vere e proprie testimonianze di fiducia. Ecco perché considero tutt'ora simili queste due narrazioni così differenti:  se all'interno del primo ciclo di storie dedicate al cavaliere oscuro  "Batman e figlio" Morrison dissemina riferimenti sulla carriera editoriale del personaggio che solo un lettore di lunghissima data può cogliere e apprezzare (senza pregiudicare l'esperienza ai nuovi lettori) leggendo The Invisibles invece l'autore utilizza il medesimo approccio riempiendo però la serie di riferimenti culturali tra i più vari, da quelli musicali a quelli letterari, ammettendo una seconda volta in maniera esplicita di rivolgersi a un ben preciso tipo di lettore intendente.
Ma se l'approccio rimane identico è chiaro sin dal primissimo volume della serie Vertigo che l'autore scozzese a questo punto ha in mente un differente tipo di lettore. "Rivoluzione invisibile" (The Invisibles vol.1 ) annovera tra i suoi protagonisti almeno quattro fra i più importanti scrittori del ottocento: Mary Shelley, Percy Bysshe Shelley, George Gordon Byron e Donatien-Alphonse-François de Sade. Queste quattro figure storiche realmente esistite diventano dei veri e propri personaggi in carne e ossa all'interno della storia finzionale. La loro presenza li identifica in prima istanza come delle citazioni viventi e in secondo luogo il loro agire ha delle conseguenze vere e proprie all'interno della storia.
Mi sono trovato più volte a cambiare idea riguardo le motivazioni che hanno spinto Morrison a inserire queste icone immortali della letteratura all'interno di una popolare serie a fumetti, e per quanto siano passati anni dalla prima lettura ancora i miei pensieri sono ambivalenti: da un lato ritengo che The Invisibles sia una serie ermetica, proibita per molti, sicuramente non alla portata di tutti ma dall'altro però mi chiedo spesso se la volontà dell'autore non fosse proprio quella di stimolare una ricerca attiva da parte del lettori. Forse un amante delle storie classiche di Batman è l'unico vero lettore modello per la run di Morrison. Forse The Invisibles punta a farsi leggere solo dagli amanti della letteratura e da nessun'altro.
O forse la verità sta più semplicemente nel mezzo: per chi ha abbastanza fame The Invisibles resta l'opera più ambiziosa di uno dei migliori sceneggiatori viventi.
BARTALLAHASSEE (all'anagrafe Simone Povia) nasce a Milano nel 1993. Segue per due anni il corso di laurea Lettere Moderne dell'Università degli studi di Milano; attualmente studia Scienze della Comunicazione presso l'Università degli studi di Torino e lavora all'interno della redazione di Eris Edizioni.
Dal Gennaio del 2016 pubblica fumetti sperimentali e non-narrativi all'interno del suo blog omonimo Bartallahassee.blogspot.it
Nel 2017 ha pubblicato come autore unico il fumetto L'Uomo Ombra, un albo autoprodotto.
Ha all'attivo diverse collaborazioni come sceneggiatore con il collettivo La Stanza pubblicate su Lo Spazio Bianco (Kyk-A-Byo disegnata da Massimo Dall'Osso e successivamente Mollette disegnata da Chiara Raimondi).
Nel 2018 esordisce come sceneggiatore con la storia breve In Utero, storia disegnata da Fabio Iamartino contenuta all'interno della raccolta Gli Ultimi Giorni del collettivo La Stanza.

Tutte le sue storie possono essere lette sul profilo instagram @Bartallahassee.


Creata da Grant Morrison e pubblicata sotto l’etichetta Vertigo dal 1994 al 2000, The Invisibles è una serie a fumetti che che narra le gesta sovversive de "Gli Invisibili”, organizzazione anarchica coinvolta nell'eterna lotta contro gli Arconti, entità di un’altra dimensione che sin dagli albori della società operano nell'ombra con il fine ultimo di sottomettere l’umanità ed eliminare ogni traccia di individualità. La serie è un concentrato di cultura e controcultura rielaborato in chiave “pop” e che Morrison sfrutta per condensare tutta la poetica e visione del mondo che in quegli anni aveva appena finito di sviluppare. In The Invisibles la mitologia azteca convive con le previsioni dei Maya, James Bond incontra John Lennon e la meccanica quantistica si mescola con la magia esoterica. L’obiettivo ultimo è quello di dar vita a un processo che l’autore chiama “Ipersigillo”, un incantesimo sotto forma di opera artistica che liberi l’umanità dalle catene che la limitano e la guidi verso un’evoluzione e un’utopia che lui chiama “Supercontesto”.


Quest'opera nasce a seguito di un’esperienza epifanica vissuta dall’autore a Kathmandu, lì recatosi in pellegrinaggio, dove sostiene di avere avuto un contatto con degli esseri di una dimensione superiore alla nostra che gli hanno rivelato alcune verità sulla vita e lo hanno incaricato di inserirle nelle sue opere per diffonderle. Morrison fa riferimento a questo episodio della sua vita all'interno di molte delle sue opere, un esempio su tutti è Flex Mentallo, e conferenze, celebre il suo intervento alla DisinfoCon del 1999. L’errore più comune è di bollare la sua intera produzione come "delirante" da questo punto di vista per via della riluttanza a credere a quanto l’autore riferisce. Lo stesso Morrison nel passato recente ha invitato i lettori a non soffermarsi sulla possibile o meno veridicità dell’evento, ma piuttosto ad assimilarne i messaggi concreti per poter allargare la propria visione della vita. Parlando con King Mob -uno dei protagonisti e alter-ego dell'autore- nella primissima pagina del fumetto, Elfayed, figura adibita a istruire le nuove reclute, afferma: “Truth speaks best in the language of poetry and simbolism, I think.”¹, riassumendo efficacemente cosa dovrebbe essere The Invisibles secondo il suo autore.


Questo modo di concepire la propria arte lo accomuna a una serie di autori del passato che ben prima di lui avevano deciso di utilizzare la penna per cambiare il mondo. Tra questi spicca Percy Bysshe Shelley, poeta del Romanticismo inglese vissuto nella prima metà dell’800 che dedicò la sua carriera letteraria a combattere la Tirannia e a ispirare l’umanità ad abbracciare la propensione alla libertà che giace sopita in ciascuno di noi. Lo stesso Shelley figura tra i protagonisti, assieme a sua moglie Mary Shelley e al suo collega e amico Lord Byron, nel secondo story-arc intitolato “Arcadia”² (citazione al noto memento mori “Et in Arcadia ego”³ apparso in alcuni dipinti del ‘600) in cui Morrison alterna una missione degli Invisibili ambientata nella Parigi della Rivoluzione Francese ad alcuni episodi biografici del poeta inglese attraverso cui espone riflessioni sul ruolo dell’artista nella società.

Shelley e Byron fanno parte della seconda generazione del Romanticismo Inglese, la generazione definita “maledetta”. Il loro immediato passato è segnato dalla delusione provocata dalla generazione precedente e dagli esiti della Rivoluzione Francese. La prima ha la colpa di aver smesso di credere in quegli ideali che erano le fondamenta del Romanticismo Inglese. Emblematica è la figura di William Wordsworth, il poeta fondatore del Romanticismo Inglese stesso, che con il passare degli anni si è tramutato in un’artista dagli ideali conservatori e dalla produzione rassicurante. La Rivoluzione Francese ha invece fallito nell’intento di creare una nuova società all’insegna dei valori della Ragione e si è trasformata in un periodo di violenza e terrore culminato nella dittatura napoleonica. In “The Revolt of Islam”, poema del 1818, Percy Shelley rintraccia il fallimento della rivoluzione nell’utilizzo della violenza e professa la speranza di una rivoluzione pacifica guidata da uomini giusti.


Di un simile avviso è Grant Morrison che in “Arcadia” ci comunica, attraverso le parole dei suoi protagonisti, che quello della Rivoluzione Francese non è il tipo di cambiamento a cui gli Invisibili aspirano. L’autore critica la mancata riforma delle persone che, anziché liberarsi dalle proprie catene, hanno semplicemente scelto di cambiare il tiranno sotto cui abbassare il capo. Ecco quindi che nel capitolo “I Misteri della Ghigliottina”⁴ quest’ultima diventa una nuova divinità a cui il popolo intona le proprie preghiere, mentre alcune pagine più avanti Etienne, contatto nel passato degli Invisibili, ci racconta di come il culto della Ragione abbia sostituito quello di Dio nella Cattedrale di Notre-Dame. King Mob e il suo team sono in missione nel passato per portare dalla loro parte il Marchese De Sade, intellettuale francese famoso per essere uno degli esponenti più estremi del Libertinismo. Nel loro viaggio di ritorno per la “super strada ontica”, i protagonisti finiscono in una versione alternativa del romanzo “Le 120 giornate di Sodoma”(1785) in cui De Sade ha messo su carta quello che è secondo lui l’orrore e l’ipocrisia di una civiltà completamente guidata dalla ragione. Nella storia, quattro uomini rappresentanti le istituzioni, si rinchiudono in un castello assieme a un manipolo di schiavi su cui sperimentare ogni genere di violenza e pratica sessuale nello sprezzo di ogni moralità. Alla fine, esaurita ogni sfregio immaginabile e colti da un sentimento di insoddisfazione, i quattro uomini si lasciano disintegrare da una bomba a conclusione della loro avventura.


Il messaggio di Morrison è chiaro: siamo prigionieri di strutture sociali da noi stessi create, da cui non riusciamo a immaginare un’uscita e che eventualmente ci porteranno alla distruzione. È qui che entra in gioco il ruolo dell’artista nella società e che King Mob riassume efficacemente nella battuta “Vogliamo mostrare alla gente come farsi le proprie uscite, anche a costo di usare la dinamite”⁵, elaborata in modo più esteso da Percy Shelley all’inizio del capitolo “Poesia di sangue”⁶ nella sua chiacchierata con Lord Byron. L’aspirazione del poeta è di liberarsi lui per primo dal giogo che ci tiene prigionieri e raccontare attraverso le sue opere che un mondo migliore è possibile. In questo caso, lo sceneggiatore scozzese non inventa niente e non fa altro che riprendere concetti che Shelley stesso ha espresso nel suo “A Defence of Poetry”(1821) in cui definisce i poeti “the unacknowledged legislators of the world”⁷ partendo dalla distinzione delle categorie della mente in Ragione e Immaginazione. La Ragione è la contemplazione della relazione tra due pensieri, mentre l’Immaginazione è l’atto di produzione del pensiero. Come già ribadito dall’incursione nell’opera del Marchese De Sade, la Ragione non può essere l’unico elemento a guida del mondo perché è solo lo strumento con cui l’uomo applica i valori forgiati attraverso l’Immaginazione, strumento con cui i poeti, secondo Shelley, danno forma alla società. L’immaginazione è di fondamentale importanza nella poetica di Morrison, basti pensare a alla miniserie "Flex Mentallo: L’Uomo del Mistero Muscolare" in cui il giovane Wallace Sage viene salvato dai suoi istinti suicidi proprio da Flex Mentallo, supereroe nato dalla sua immaginazione e protagonista del fumetto.


Ed è proprio sul potere dell’immaginazione che pone le proprie basi un genere letterario di poco noto e che molto ha da spartire con ciò che Morrison definisce “Ipersigillo”. Nato sotto la corte di Giorgio III, il Mental Theatre è una forma di teatro sperimentale che consiste in testi pensati non per una rappresentazione su un palcoscenico fisico, ma per essere allestiti nel cosiddetto “palcoscenico della mente”. È una definizione che nasce in alcune lettere di Lord Byron dove il poeta esprimeva la sua disapprovazione per la situazione in cui versava la scena teatrale londinese dell’epoca. La chiusura della quasi totalità dei teatri e l’istituzione di una figura che analizzasse e censurasse ogni testo prima della sua messa in scena aveva privato il teatro della sua forza politica. Da forma d’arte prediletta per l’impegno sociale (dal ceto più basso a quello più alto, tutti andavano ad assistere agli spettacoli), il teatro era finito per diventare un innocuo intrattenimento con cui imbonire le masse. Il Mental Theatre nasce proprio dal bisogno di sfuggire alla censura, solo i testi che aspiravano ad una rappresentazione venivano controllati, per poter ridare alla scrittura quell’impegno sociale e politico che tanto era caro ai Romantici e, allo stesso tempo, veicolare con migliorata efficacia i propri messaggi. Lo sforzo richiesto per allestire nella propria testa questi spettacoli, ricchi di una forte componente immaginifica, trasformava il pubblico da passivo ad attivo, risvegliando la mente e rendendola più incline alla comprensione dei sottotesti e delle metafore di cui queste opere erano colme. Cambiare la collettività partendo dalla rigenerazione della mente del singolo.



In questo senso, quello che il Mental Theatre si propone di fare è una magia. Con l’affermarsi dell’età moderna e della scienza, l’idea di magia è andata incontro a ogni scetticismo di sorta fino a venir relegato a semplice sinonimo della parola “illusionismo”. La credenza comune è che il processo magico sia un qualcosa di astratto senza alcuna aderenza con la realtà. Nella sua concezione più primitiva, la magia è invece manipolazione di simboli per produrre effetti tangibili nella realtà. Proprio per questo, sin dall’antichità si è spesso associato arte e magia: dagli uomini delle caverne che dipingevano scene di caccia come buon auspicio alla musica composta per rituali magico-religiosi, l’arte è sempre stata magia. Proprio in questo filone, con la loro volontà di cambiare le persone e, di riflesso, la realtà, si inseriscono le opere del Mental Theatre e gli Ipersigilli di Grant Morrison. Non si tratta di “forze invisibili” a cui credere, ma di un modo concreto di intendere il processo magico in quanto “spinta al cambiamento”. Si tratta della forza delle idee e della loro diffusione.

Le loro opere servono ad artisti come Percy Shelley e Grant Morrison per dar vita alle idee di un mondo migliore che sono riusciti a vedere tramite la loro immaginazione. Sempre restando nel campo della magia, la figura dell’artista è assimilabile a quella dello sciamano che mette in comunicazione due mondi: quello della finzione e quello della realtà.


L’immaginazione è fondamentale anche nel ruolo che gli Invisibili decidono di affidare al Marchese De Sade una volta reclutato tra le loro fila. Le sue idee e la sua mentalità aperta e libertina sono ciò di cui gli Invisibili hanno bisogno per sperimentare con la sessualità. Il sesso è alla base della vita umana e allo stesso tempo è l’elemento più legato a tabù sociali. Immaginare un nuovo modo di intendere la sessualità, e così facendo sdoganarla, è uno dei primi passi per disfarsi del vecchio sé e ricostruirlo in modo che sia pronto al futuro che aspetta l’umanità.


La rottura della barriera tra il mondo della finzione e della realtà e la scomposizione e ricomposizione del sé sono una delle tematiche principali di The Invisibles e di tutta la carriera di Grant Morrison. Le tute di finzione di Mister Six e la backstory di Robin sono solo alcuni degli esempi di come gli Invisibili giochino con il confine tra realtà e finzione, ma forse il più eclatante è quello rappresentato da King Mob, personaggio che sarebbe facile credere essere stato modellato sulla base dello stesso autore e che in realtà è frutto del processo contrario. Morrison lo creò basandosi su tutto ciò che lui stesso avrebbe voluto essere e con l’obiettivo di diventarlo con il procedere della serie. Affidandoci sulle sue stesse parole e su quelle di chi lo circonda⁸, l’obiettivo è stato raggiunto e la finzione è diventata la realtà. Il perseguimento di questo tipo di libertà, ovvero la possibilità di decidere chi si vuole essere al punto da cambiare radicalmente sé stessi e la propria vita, è uno dei passaggi obbligatori in The Invisibles per poter raggiungere l’utopia chiamata “Supercontesto”.


Morrison designa il “Supercontesto” come il fine ultimo di un processo iniziato agli albori dell’esistenza, un processo di cui noi siamo artefici inconsapevoli e che consiste nella graduale presa di coscienza del processo stesso. Non c’è differenza tra la finzione e la realtà, anzi la realtà è una finzione che noi stessi abbiamo creato. Capirlo, significa abbattere le differenze tra destino prestabilito e libero arbitrio, ovvero prendere pieno controllo dell’esistenza.  Questa è la consapevolezza che i protagonisti di The Invisibles raggiungono con il procedere della serie e scopo dell'opera è portare il lettore a immedesimarsi in questi personaggi per giungere a quello stesso traguardo. Permettere a più persone possibili di raggiungere questa illuminazione è l'obiettivo dietro le azioni di King Mob a fine serie che decide di spostare la battaglia degli Invisibili sul piano delle informazioni: trasmettere le idee rivoluzionarie tramite i media per risvegliare più coscienze possibili. L’ultima sua geniale trovata è la trasformazione di The Invisibles, il fumetto stesso, in un videogioco a realtà virtuale, un’esperienza con cui le persone possono rivivere la storia immedesimandosi in uno qualsiasi dei suoi personaggi. Questo videogioco cos’altro è se non l’evoluzione di quel che il fumetto di The Invisibles rappresenta?


Come riferisce King Mob a De Sade nel capitolo “T.E.S.T.A.”⁹, lo scopo degli Invisibili è distribuire gli strumenti affinché chiunque possa costruirsi il proprio mondo ideale, “nemici inclusi”. In questo momento della storia, il Supercontesto è ancora lontano e King Mob non conosce la reale portata della sua affermazione. Per raggiungere il passo successivo dell’evoluzione umana è importante che il concetto di '“Us vs Them” arrivi a un’importante svolta già anticipata da Shelley in una delle sue opere di Mental Theatre più importanti: Prometheus Unbound (1820). L’opera si apre con Prometeo in catene e condannato a una tortura eterna da Zeus come punizione per aver rubato il fuoco agli dei per portarlo all’umanità. Accecato dalla rabbia per il sovrano degli dèi, il Titano sembra condannato alla dannazione eterna, finché non matura un sentimento di pietà e misericordia che lo portano a ritirare le maledizioni lanciate contro Zeus. In pace con sé stesso e pieno solo di un sentimento d’amore universale, Prometeo arriva a capire che a dare forza al tiranno era proprio quella rabbia e quel risentimento che indirizzava su di lui. Così facendo le catene della sua prigionia si indeboliscono e si accende la miccia che porterà alla destituzione della divinità e alla liberazione di Prometeo e dell’umanità.

Capire che la “guerra” è solo un gioco a cui noi abbiamo deciso di giocare è fondamentale per raggiungere il Supercontesto. Nelle opere di Shakespeare, la figura del Matto, il “Fool”, rappresentava colui che racconta la verità. “Può essere la stessa mano che suona sia le note bianche che le nere?” afferma nella penultima pagina del capitolo “Poesia di Sangue”⁶ un Matto. L’uomo è disperato perché da quando “il Nero combatte il Bianco” ha perso ogni abilità nel suonare il pianoforte. “Le mie braccia sono così gravate da queste catene” afferma guardando negli occhi Percy Shelley che pietosamente gli risponde: “Non ci sono catene su di lei, signore”.


Con il suo discorso sull’individualità, sulla tirannia, sulla rivoluzione e sull’utopia, The Invisibles si inserisce in una tradizione millenaria di opere artistiche che riflettono su questi argomenti progredendone il discorso e aggiornandolo per il nuovo millennio. Il primo consapevole di questo è lo stesso Morrison, che inserisce nella sua opera tutti gli elementi possibili per ricostruire questo lungo processo di cui il suo “Ipersigillo” è figlio. “Poesia di Sangue”⁶ è il capitolo che dà il via allo story-arc “Arcadia”² e si apre con la scena che più anticipa tutto quello che Morrison vuole trasmetterci con la lettura di The Invisibles. King Mob, in pellegrinaggio in Asia, assiste allo spettacolo di un “Dalang”, una sorta di burattinaio che mette in scena la mitologia indiana. “Il suo compito è farci ridere e piangere. La sua abilità ci fa credere di vedere una guerra tra due grandi eserciti, ma non c’è guerra.” spiega la guida turistica a King Mob e al lettore.

C’è solo il Dalang”.

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Note

1. "Penso che la verità si esprima meglio nel linguaggio della poesia e del simbolismo" - The Invisibles Vol.1 #1 "Dead Beatles" (1994) contenuto nel volume "The Invisibles - Rivoluzione Invisibile" edito da Planeta De Agostini

2. The Invisibles Vol.1 #5-8 (1995) contenuti nel volume "The Invisibles - Rivoluzione Invisibile" edito da Planeta De Agostini.

3.

"La frase può tradursi letteralmente: "Anche in Arcadia io", dove Et sta per etiam (anche), viene sottinteso: sum (sono presente) o eram (ero). Sembra quindi volersi intendere con l'iscrizione:
sia l'onnipresenza nel tempo e nello spazio della morte (sum - Io sono presente anche in Arcadia);
sia la transitorietà di fronte alla morte della gloria letteraria del defunto (eram - Anche io ero in, facevo parte dell'Arcadia)." (Fonte Wikipedia)

4. The Invisibles Vol.1 #6 "Misteries of the Guillotine" contenuto nel volume "The Invisibles - Rivoluzione Invisibile" edito da Planeta De Agostini.

5. The Invisibles Vol.1 #7 "120 Days of Sod All" contenuto nel volume "The Invisibles - Rivoluzione Invisibile" edito da Planeta De Agostini.

6. The Invisibles Vol.1 #5 "Bloody Poetry" contenuto nel volume "The Invisibles - Rivoluzione Invisibile" edito da Planeta De Agostini.

7. "I legislatori non riconosciuti del mondo"

8. Nel documentario "Grant Morrison: Talking with Gods" diretto da Patrick Meaney sono racchiuse alcune testimonianze che raccontano di come Grant Morrison fosse, fino all'inizio degli anni '90, una persona molto schiva, timida e chiusa in sé, e che proprio negli anni di The Invisibles sia cambiato drasticamente diventando la personalità magnetica e amante delle folle di adesso. La tematica cardine della sua storica run sulla Doom Patrol è proprio l'elogio ai freak e agli outsider con cui Morrison si immedesimava molto in quegli anni della sua vita.

9. The Invisibles Vol.1 #8 "H.E.A.D." contenuto nel volume "The Invisibles - Rivoluzione Invisibile" edito da Planeta De Agostini.

Fonti

Sugli argomenti trattati in quest'articolo è possibile trovare su internet una quantità di materiale sconfinato, ma le mie due fonti principali per quest'articolo sono due fonti cartacee. Il primo è La metamorfosi nella mente di Elisabetta Marino che, assieme alle sue lezioni di Letteratura Inglese alla Facoltà di Lettere di Roma TorVergata, è stato fondamentale per le nozioni sui poeti del secondo romanticismo inglese e, in particolare, sul Mental Theatre. La seconda è invece Our Sentence is Up di Patrick Meaney, saggio in lingua inglese che analizza The Invisibles capitolo per capitolo, fonte inesauribile di riflessioni su quest'opera dalle mille sfaccettature.
A queste fonti principali si aggiungono ovviamente Supergods, il saggio autobiografico dello stesso Grant Morrison, e Grant Morrison: Talking With Gods, il documentario diretto da Patrick Meaney su quest'autore.

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